25. Come considerare il proprio dovere

di Zheng Ye, Corea del Sud

Poco dopo essere diventato credente, notai dei fratelli e sorelle che erano capi tenere spesso riunioni e condivisioni sulla verità, e alcuni avevano compiti che richiedevano abilità, come fare video, o cantare e ballare. Li ammiravo molto e pensavo che fosse qualcosa da apprezzare. Invece, le persone all’accoglienza o che gestivano gli affari della Chiesa si occupavano di compiti ordinari e poco specializzati, con cui non si sarebbero mai fatti un nome. Pensavo che in futuro avrei voluto un compito che mi facesse fare bella figura. Due anni dopo, mi venne affidato il compito di correggere documenti. Ero così felice, soprattutto quando, ogni volta che andavo alla Chiesa per fornire indicazioni sul lavoro di correzione, tutti i fratelli e le sorelle erano molto affettuosi con me e mi guardavano con ammirazione. Ero molto soddisfatto di me stesso, e sentivo che il mio compito destava più ammirazione degli altri. Nel 2018, fui mandato in un’altra zona per svolgere il mio compito. Mentre ero lì, una volta un fratello scoprì qual era il mio compito e iniziò a parlarne con me. Vedere come mi ammirava mi rese davvero felice e sentivo che svolgere quel compito era davvero un onore.

In quel periodo, ero in un costante stato di compiacimento e di autoammirazione. Gareggiavo per la fama e per il profitto nel mio dovere, senza prenderlo sul serio. Un paio di mesi dopo, fui rimosso dal mio incarico perché non avevo raggiunto alcun obiettivo. Ciò mi fece sentire molto turbato e un po’ negativo, così il capo tenne una condivisione con me sulla volontà di Dio, dicendo: “La casa di Dio ha bisogno di persone che lavorino come macchinisti per i suoi film. Potresti farlo tu. Qualunque sia il tuo compito, devi perseguire la verità e dare tutto te stesso per svolgere bene il tuo dovere”. Non sapevo bene cosa comportasse quel compito, ma immaginai di dover semplicemente obbedire, perché era quanto aveva stabilito il capo. Dopo aver fatto il macchinista per un po’, compresi che si trattava per lo più di duro lavoro fisico, di spostare vari oggetti di scena. Non richiedeva alcuna abilità. Era solamente lavoro di gambe e bassa manovalanza. Pensai: “Prima, il mio compito di correttore mi imponeva di usare il cervello. Era dignitoso e ben visto. Spostare tutti questi attrezzi è un lavoro fisico. È sporco e faticoso. I fratelli e le sorelle mi guarderanno con disprezzo?”. A quel pensiero, provai un tuffo al cuore e mi sentii un po’ restio a svolgere quel compito. Da quel momento in poi, lavorai con poco entusiasmo, sottraendomi quando potevo. A volte, quando ci mancava un oggetto di scena e dovevamo prenderlo in prestito da un fratello o una sorella, mandavo qualcun altro a chiedere, temendo che, se fossi stato io a farlo, i fratelli e le sorelle che mi conoscevano avrebbero scoperto che ero stato rimosso dal compito precedente e che in quel momento stavo facendo un lavoro umile. Cosa avrebbero pensato di me? Non volevo neanche lavorare sulle competenze pertinenti temendo che, se avessi imparato di più, avrei svolto quel compito per sempre, e non sarebbe mai giunto il giorno in cui mi sarei distinto. A volte, mentre eravamo sul set, il regista mi chiedeva di posizionare degli oggetti di scena in modo specifico. La cosa mi metteva sempre molto a disagio, come se fosse imbarazzante per me. Pensavo a come prima, nel mio compito di correttore, gli altri mi avevano rispettato seguendo le mie indicazioni, ma ora ero io quello a cui veniva detto cosa fare. Era una vera e propria retrocessione. Una volta, un fratello mi fece uscire a raccogliere della paglia di riso per il set. Non avevo alcuna voglia di farlo. Pensai: “Uscire per una cosa del genere è proprio imbarazzante. Se i fratelli e le sorelle lo vedono, mi considereranno di sicuro una causa persa, a fare cose del genere in così giovane età”. Ma, siccome faceva parte del mio compito, aspettai che non ci fosse nessuno in giro e mi preparai a farlo. Vidi arrivare un fratello mentre raccoglievo la paglia di riso. Indossava scarpe di pelle e calze bianche: era tutto pulito. Io, invece, ero sporco dalla testa ai piedi. All’improvviso mi sentii abbattuto e sconvolto, pensai: “Abbiamo la stessa età, ma lui sta svolgendo un bel compito pulito, mentre io posso solo fare il lavoro sporco come raccogliere la paglia di riso. Che differenza enorme! Che imbarazzo! Tornerò indietro e dirò al capo che non voglio più svolgere questo compito, chiedendogli di assegnarmi qualcos’altro”.

Dopo essere tornato, mi sentivo davvero in conflitto, mi chiedevo se avessi dovuto dire qualcosa al capo. Se non lo avessi fatto, avrei dovuto continuare a svolgere il mio compito ma, se avessi detto chiaramente di non volerlo fare, sarebbe stato come abbandonare il mio compito. A quel pensiero, soffocai i miei sentimenti e non dissi nulla. Non molto tempo dopo, il capo dispose che tutti i macchinisti e gli attori partecipassero alle riunioni. Non ne ero affatto contento. Loro potevano farsi un nome e crogiolarsi sotto i riflettori, mentre io facevo lavori umili. Non eravamo proprio allo stesso livello. Riunirsi non avrebbe messo in evidenza la mia inferiorità? Durante le riunioni, tutti si impegnavano attivamente nella condivisione, ma io non volevo condividere nulla. Nelle riunioni con gli attori, mi sentivo come se servissi solo a farli apparire migliori. Era deprimente. Col passare del tempo, l’oscurità nel mio spirito cresceva e non avevo più voglia di andare alle riunioni. Spesso ripensavo al periodo in cui svolgevo il compito di correttore, quando ero accolto con entusiasmo dai fratelli e dalle sorelle e apprezzato dal capo. Da quando ero stato rimosso da quel compito, avevo fatto solo lavoretti e nessuno mi guardava più con ammirazione. Ero abbattuto e infelice, mi sentivo sempre più inferiore e asociale. Ero costantemente malinconico e stentavo a riconoscermi. Persi parecchio peso in pochissimo tempo. Una sera, mentre passeggiavo da solo, non riuscii più a trattenere l’infelicità che avevo dentro. Piangendo, pregai Dio: “Oh Dio! In passato, ero determinato a perseguire la verità e a svolgere il mio compito per soddisfarTi, ma ora che nel mio dovere non c’è più la possibilità di mettermi in mostra, mi sento sempre inferiore agli altri. Sono davvero negativo e debole e mi sento come se stessi per tradirTi da un momento all’altro. Dio, non voglio continuare a essere così negativo, ma non so cosa fare. Ti prego, aiutami a uscire da questa condizione”.

Dopodiché, lessi questo nelle parole di Dio: “Come nasce il dovere? In senso lato, nasce in conseguenza dell’opera di gestione di Dio per portare la salvezza all’umanità; in senso più specifico, man mano che l’opera di gestione di Dio si svolge tra gli uomini, emergono vari compiti da eseguire, e questi richiedono che le persone collaborino e li portino a termine. Da qui sono emerse le responsabilità e le missioni che le persone devono compiere, e tali responsabilità e missioni sono i doveri che Dio conferisce all’umanità(“Qual è l’adeguato adempimento del proprio dovere?” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). “Qualunque sia il tuo dovere, non fare distinzione tra alto e basso livello. Supponiamo che tu dica: ‘Sebbene questo compito sia un incarico da parte di Dio e l’opera della casa di Dio, se lo svolgo io, gli altri potrebbero guardarmi dall’alto in basso. Altri arrivano a svolgere mansioni che li mettono in risalto. Come può questo compito che mi è stato assegnato, che non mi permette di distinguermi ma mi costringe a darmi da fare dietro le quinte, essere definito un dovere? È un dovere che non posso accettare; non è il mio dovere. Il mio dovere deve essere di un tipo che mi consenta di distinguermi di fronte agli altri e di farmi un nome; e anche se non mi faccio un nome o non mi distinguo, devo comunque trarne beneficio e sentirmi fisicamente a mio agio’. È forse un atteggiamento accettabile? Fare gli schizzinosi significa non accettare ciò che proviene da Dio; significa compiere scelte a seconda delle proprie preferenze. Non è un’accettazione del proprio dovere; è un rifiuto del proprio dovere. Non appena cerchi di fare il difficile, non sei più capace di una vera accettazione. Questo atteggiamento schizzinoso è frutto delle tue preferenze e dei tuoi desideri individuali; quando presti attenzione ai benefici che ne trai, alla tua reputazione e così via, il tuo atteggiamento verso il dovere non è sottomesso. Ecco come deve essere l’atteggiamento verso il dovere: in primo luogo, non devi analizzarlo, né pensare a chi te l’ha assegnato; devi invece accettarlo in quanto proveniente da Dio, come tuo dovere e come ciò che devi fare. In secondo luogo, non devi distinguere fra alto e basso livello e non devi preoccuparti della sua natura, se venga fatto davanti agli altri o senza che lo vedano, se ti ponga in risalto oppure no. Non prendere in considerazione queste cose. Queste sono le due caratteristiche dell’atteggiamento con cui bisogna affrontare il proprio dovere(“Qual è l’adeguato adempimento del proprio dovere?” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Leggere ciò mi mostrò che avevo una prospettiva e un atteggiamento sbagliati nei confronti del mio compito. Dio ci chiede di svolgere il nostro compito, ed è giusto e opportuno che lo facciamo. Non dovremmo avere scelta in merito. Ma lasciai che le mie preferenze interferissero, desiderando solo un compito ammirato e stimato. Mi opponevo e rifiutavo tutto ciò che si trovava dietro le quinte o che era mediocre. Non ero sottomesso al governo e alle disposizioni di Dio. Anzi, ero addirittura negligente, negativo e mi rifiutavo di lavorare, e mi opponevo a Dio. Ripensai all’inizio del mio percorso di fede. Invidiavo i capi, ma anche i fratelli e le sorelle che si esibivano. Pensavo che fossero compiti di rilievo, che destassero ammirazione negli altri, e che un lavoro fisico meno degno di nota implicasse una totale assenza di qualsiasi abilità. “Quel tipo di compito è umile e la gente lo disprezza”, pensavo. Essendo stato fuorviato nel mio giudizio, avevo classificato i compiti secondo livelli diversi; così, quando avevo iniziato come macchinista, pensavo si trattasse solo di lavoretti umili che avrebbero danneggiato la mia reputazione e la mia immagine. Ciò mi contrariava parecchio e non volevo sottomettermi. Non mi assumevo la responsabilità del mio compito e non volevo acquisire le competenze che avrei dovuto apprendere. Pensai anche di gettare la spugna e di tradire Dio. Vidi che nel mio compito mi preoccupavo solo delle mie preferenze personali, che pensavo solo alla mia vanità, al mio prestigio e ai miei interessi. Ero completamente privo di vera obbedienza, ancor meno rispettavo la volontà di Dio o svolgevo bene il mio compito. Il mio atteggiamento era così disgustoso e detestabile agli occhi di Dio! Rendermene conto fu sconvolgente, e mi rimproverai.

Poi lessi queste parole di Dio: “Gli uomini sono esseri creati. Quali sono le funzioni degli esseri creati? Questo riguarda la pratica e il dovere delle persone. Tu sei un essere creato; Dio ti ha concesso il dono del canto. Quando ti incarica di cantare, tu che devi fare? Devi accettare questo compito che Dio ti ha affidato e cantare bene. Quando Dio ti incarica di diffondere il Vangelo, che cosa diventi tu, in quanto essere creato? Diventi un evangelista. Quando Dio ha bisogno che tu faccia da guida, devi accettare questo incarico; se sai compiere questo dovere in conformità ai principi della verità, questa sarà un’altra funzione che adempi. Alcuni non capiscono la verità né la ricercano; sanno solamente impegnarsi. Allora qual è la funzione di questi esseri creati? Impegnarsi e rendere un servizio(“Solo ricercando la verità si possono conoscere le azioni di Dio” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Dalle parole di Dio, imparai che qualunque sia il compito che uno svolge nella casa di Dio, che sembri rilevante o meno, i compiti hanno solo nomi e funzioni diverse, ma la responsabilità del singolo rimane la stessa. L’identità e l’essenza intrinseche di una persona non cambiano: si tratta sempre di un essere creato. Ero un essere creato mentre svolgevo il mio dovere di correttore e lo ero ancora nel mio compito di macchinista. Non c’è una gerarchia tra i compiti all’interno della casa di Dio, e tutto è organizzato in base alle esigenze del lavoro della Chiesa, e secondo la statura, la levatura e le qualità di ogni individuo. Non importa quale sia il compito, la volontà di Dio è che ci impegniamo a fondo nei nostri doveri, che siamo concreti nella nostra ricerca della verità, eliminando le nostre indoli corrotte e svolgendo bene i nostri compiti. Proprio come si dice nelle parole di Dio: “Le funzioni non sono le stesse. Esiste un unico corpo. Ognuno compie il proprio dovere, ognuno al proprio posto e intento a fare del proprio meglio – per ogni scintilla c’è un lampo di luce – e a ricercare la maturità nella vita. Così Io sarò soddisfatto(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Discorsi di Cristo al principio, Cap. 21”). Il capo della Chiesa mi aveva assegnato il compito di macchinista, perché era ciò che serviva per quel lavoro e non dovevo essere schizzinoso o pignolo in base alle mie preferenze, ma dovevo sottomettermi al governo e alle disposizioni di Dio. Dovevo allestire gli oggetti di scena necessari per i programmi e contribuire a ogni produzione che è testimonianza di Dio. Questa era la mia funzione. Ebbi un piccolo cambiamento di prospettiva dopo aver compreso la volontà di Dio e mi liberai del peso che mi aveva oppresso per così tanto tempo. Fui anche in grado di affrontare correttamente il mio compito. Da quel momento, cercai diligentemente materiali e informazioni di riferimento per lavorare su quelle competenze, e nelle riunioni con gli attori, non facevo più paragoni tra i nostri compiti, ma parlavo apertamente della mia ribellione e corruzione. Feci una condivisione su tutto quanto comprendevo. Successivamente, nel mio compito a volte tornava a galla la paura di essere disprezzato e mi rendevo conto di dividere nuovamente i compiti tra alti e bassi, così pregavo subito Dio rinunciando alle mie convinzioni errate, per concentrarmi sul mio compito e mettere al primo posto la soddisfazione di Dio. Mi sentii così rilassato e sollevato dopo aver praticato per un po’ in questo modo. Non sentivo più che lavorare alle scenografie e spostare oggetti di scena fosse un compito umile. Sentivo, invece, che Dio mi aveva affidato una responsabilità. Ero onorato e orgoglioso di poter svolgere questo compito e di dare il mio contributo alle produzioni cinematografiche della casa di Dio.

Pensavo di aver guadagnato una certa levatura dopo essere stato smascherato in quel modo, che sarei stato in grado di sottomettermi alle disposizioni di Dio nel mio compito e non sarei stato più negativo e ribelle perché il mio compito non era niente di speciale. Ma, non appena mi trovai in una situazione che non mi piaceva, quel vecchio problema saltò fuori di nuovo.

Un paio di mesi dopo, durante una stagione molto intensa per i contadini, c’erano alcuni fratelli e sorelle che erano in giro a diffondere il Vangelo e non potevano tornare in tempo per il raccolto. Il capo mi chiese se potevo aiutarli nel loro lavoro agricolo. Pensai: “Questo potrebbe tranquillizzare quei fratelli e sorelle, così potranno concentrarsi sul lavoro evangelico, e ciò gioverebbe al lavoro della casa di Dio. Dovrei assumermi questo compito”. Ma, quando entrai nei campi, notai che gli altri fratelli erano sulla quarantina o sulla cinquantina. Non c’era una sola persona sui vent’anni, come me. Non mi faceva molto piacere. Proprio allora, un fratello venne da me e mi chiese, sorpreso: “Fratello, come mai hai tempo di venire a lavorare nei campi? Non stai svolgendo il tuo compito di correttore?” Il mio viso si infiammò immediatamente e risposi rapidamente: “Sono qui solo per dare una mano temporaneamente”. Quando se ne fu andato, mi dissi: “Cosa penserà di me? Penserà che venire a fare questo tipo di lavoro alla mia età significa che non ho una vera levatura o un vero talento e che sono qui solo perché non sono capace di assumere un compito importante? È un vero e proprio declassamento!” Mi sentivo sempre più afflitto. Anche se svolgevo quel lavoro con il corpo, la mia mente era piena di pensieri su ciò che quei fratelli pensavano di me, e mi chiedevo se mi disprezzassero. Conclusi il lavoro alla bell’e meglio. Quando tornai a casa, vidi altri fratelli davanti ai computer che svolgevano i loro compiti e all’improvviso mi sentii come se fossi su un gradino più basso. Pensai: “I compiti degli altri sono migliori dei miei. Perché devo andare a faticare nei campi? Comunque sia, perlomeno sono uno che ha frequentato l’università e mi sono impegnato molto negli studi. Non l’ho fatto per sfuggire al destino di un contadino che lavora tutto il giorno nei campi? Domani non ci andrò”. Sapevo che non avrei dovuto pensarla così, ma mi sentivo tanto offeso, pensavo che farmi lavorare nei campi fosse uno spreco del mio talento e una vergogna per me. Più ci pensavo, più mi sentivo sconvolto, così pregai Dio: “Dio, mi sembra che sudare e faticare nel lavoro agricolo sia un compito inferiore che gli altri disprezzeranno. Non voglio più farlo. So che questo mio pensiero è sbagliato, ma non posso farci niente. Sono davvero triste. Ti prego, illuminami e guidami, affinché io possa comprendere la Tua volontà e obbedire”.

Dopo la mia preghiera, lessi questo nelle parole di Dio: “Che cos’è la vera sottomissione? Ogni volta che Dio fa qualcosa come desideri e hai la sensazione che tutto è soddisfacente e opportuno, e che ti è stato permesso di emergere, senti che è magnifico e dici ‘grazie Dio’ e riesci a sottometterti alla Sua orchestrazione e alle Sue disposizioni. Invece, ogni volta che vieni assegnato a una posizione irrilevante dove non ti è mai possibile emergere e nella quale nessuno mai si accorge di te, smetti di sentirti felice e trovi difficile sottometterti. […] Di solito è facile sottomettersi quando le condizioni sono favorevoli. Se riesci a farlo anche in circostanze avverse – quelle in cui le cose non vanno come desideri e vieni ferito nei tuoi sentimenti, quelle che ti rendono debole, che ti fanno soffrire fisicamente e sono uno smacco per la tua reputazione, che non riescono a soddisfare la tua vanità e il tuo orgoglio e ti infliggono una sofferenza psicologica, allora possiedi davvero una levatura. Non è questo l’obiettivo che dovreste perseguire? Se avete una tale determinazione, un simile obiettivo, allora c’è speranza(La condivisione di Dio).

Mi vergognai mentre riflettevo sulle parole di Dio. Avevano rivelato la mia precisa condizione. Quando pensavo di potermi mettere in mostra mentre svolgevo il mio dovere di correttore, ero più che felice di accettarlo e di sottomettermi e svolgevo il mio compito con entusiasmo. Ma, quando davo una mano nei campi, cosa che influiva sulla mia vanità e sul mio orgoglio, mi arrabbiai e non volli farlo. Soprattutto quando vidi altri fratelli lavorare al computer, mi sentivo come se non fossi alla loro altezza. Persi il mio equilibrio interiore, convinto che, avendo ricevuto un’istruzione, avrei dovuto fare un lavoro dignitoso che richiedesse delle competenze. Mi opponevo e mi lamentavo, non volendo continuare a fare lavori agricoli. Nel mio compito, non consideravo ciò che avrebbe giovato alla casa di Dio, né ero rispettoso della Sua volontà. Pensavo, invece, alla mia vanità in ogni momento. Ero così egoista e spregevole. Non mi vedevo affatto come un membro della casa di Dio. Un vero credente rispettoso della volontà di Dio si assume il dovere di svolgere il proprio compito come responsabilità personale, dando il proprio contributo dove c’è bisogno, anche se è difficile, faticoso, o compromette la propria reputazione o i propri interessi. Purché sia di aiuto al lavoro della Chiesa, prende l’iniziativa svolgendolo bene. Solo una persona del genere possiede umanità e sostiene la casa di Dio. Pensai al mio recente lavoro sul raccolto autunnale. Alcuni fratelli e sorelle avevano bisogno di aiuto e tante altre persone avrebbero potuto farlo, perché Dio faceva ricadere questo compito sulle mie spalle? Non è che io aggiungessi un valore particolare a quel lavoro. Ma Dio stava esponendo il mio atteggiamento verso il mio compito facendomi fare un lavoro sporco e faticoso in modo da poter riconoscere la corruzione e le impurità mostrate nello svolgimento di quel compito, per poi cercare la verità per correggere la mia indole corrotta. Ma io non capivo le buone intenzioni di Dio. Ero ancora schizzinoso sul mio compito e avevo sempre le mie preferenze e pretese. Non riuscivo a sottomettermi all’orchestrazione e alle disposizioni di Dio, anzi, ero ribelle e resistevo a Dio. Lo ferii tanto! A quel pensiero, capii che la volontà di Dio era di smascherare e purificare la mia indole corrotta per mezzo di quella situazione e di correggere l’atteggiamento che avevo verso il mio dovere. Questo era l’amore di Dio. Non importa se vengo assegnato a un lavoro sporco, faticoso o insignificante. Purché sia di beneficio per il lavoro della Chiesa, dovrei accettarlo incondizionatamente, sottomettermi e dare tutto me stesso. Solo ciò vuol dire essere una persona con una coscienza e ragionevolezza. Una volta compreso questo, acquisii pian piano un senso di calma.

In seguito non potei fare a meno di riflettere su me stesso: perché ero stato così contrario e turbato quando dovevo svolgere un compito insignificante? Perché non ero stato in grado di accettarlo veramente e di sottomettermi? Nella mia ricerca, lessi queste parole di Dio: “Satana corrompe gli individui attraverso l’istruzione e l’influenza dei governi nazionali e dei personaggi grandi e famosi. Le loro parole diaboliche sono diventate la vita e la natura dell’uomo. ‘Ognuno per sé e che gli altri si arrangino’ è un celebre detto satanico che è stato instillato nella gente ed è diventato la vita delle persone. Esistono altri detti analoghi ispirati a filosofie di vita. Satana usa la ricca cultura tradizionale di ciascuna nazione per istruire la gente, facendo sì che il genere umano sprofondi in un abisso sconfinato di distruzione e ne sia divorato, e alla fine le persone vengono distrutte da Dio perché Gli oppongono resistenza e servono Satana. […] Ci sono ancora molti veleni satanici nella vita delle persone, nella loro condotta e nel loro comportamento; la verità è quasi del tutto assente in loro. Per esempio, le loro filosofie di vita, i loro modi di fare le cose e le loro massime sono tutti pervasi dei veleni del gran dragone rosso, e procedono tutti da Satana. Pertanto, tutte le cose che scorrono nel sangue e nelle ossa della gente sono sataniche(“Come conoscere la natura umana” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Le parole di Dio mi aiutarono a capire che mi ero mostrato disobbediente e schizzinoso verso il mio compito perché ero stato indottrinato e corrotto dai veleni di Satana come “Ognuno per sé e che gli altri si arrangino”, “Coloro che lavorano con la mente governano gli altri e coloro che lavorano col corpo sono governati dagli altri” e “Solo i più saggi o i più sciocchi non cambiano mai”, e anche perché cercavo di distinguermi, di essere migliore degli altri. Ripensai a quando ero a scuola. I miei insegnanti e i miei genitori mi dicevano sempre di lavorare sodo per riuscire a entrare in una buona università e sfuggire alla vita da contadino, che quello sarebbe stato l’unico modo per fare strada. Per questo avevo studiato tanto fin da quando ero piccolo, sperando di conseguire una buona laurea e trovare un lavoro dignitoso come direttore o manager, qualcosa di lodevole che gli altri avrebbero ammirato. Dopo essere diventato credente, valutavo i compiti nella casa di Dio ancora con gli occhi di un non credente, facendo distinzioni tra compiti di alto o basso livello. Ai miei occhi, essere un capo o fare un lavoro specializzato era dignitoso e i fratelli e le sorelle avrebbero apprezzato tali compiti, mentre i doveri che implicavano fatica fisica e anonimato erano umili e sarebbero stati disprezzati. Vidi che questi veleni satanici erano diventati la mia natura, dominando i miei pensieri, portandomi a inseguire testardamente fama e prestigio, desiderando sempre di essere una persona speciale. Quando qualcosa minacciava la mia fama e il mio prestigio, ero negativo e contrario. Non accettavo di occupare quel posto e di svolgere il compito di un essere creato. Mi mancavano del tutto coscienza e ragione. Sapevo che, se avessi continuato a vivere secondo queste tossine sataniche, non cercando la verità e non svolgendo il mio compito come richiesto da Dio, non solo non avrei potuto ottenere la verità e la vita, ma avrei disgustato Dio e sarei stato eliminato. Dopo essermi reso conto di tutto questo, decisi di abbandonare la mia carne e di soddisfare Dio. Non volevo più vivere secondo i veleni di Satana. Il giorno dopo, andai di nuovo a lavorare nei campi.

In seguito, lessi alcune parole di Dio: “Io decido la destinazione di ciascuna persona non in base all’età, all’anzianità, alla quantità di sofferenza, né men che meno, al grado in cui suscita compassione, ma in base al fatto che possieda la verità. Non c’è altro criterio di scelta che questo(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Prepara sufficienti buone azioni per la tua destinazione”). “In definitiva, che le persone riescano o meno a ottenere la salvezza non dipende dal dovere che adempiono, ma dal fatto che abbiano capito e acquisito la verità e che sappiano o meno sottomettersi alle orchestrazioni di Dio ed essere autentici esseri creati. Dio è giusto, e questo è il principio con cui Egli valuta l’intera umanità. Questo principio è immutabile, e devi ricordartelo. Non pensare a trovare qualche altra via o a perseguire qualcosa di illusorio. I criteri che Dio impone a tutti coloro che ottengono la salvezza sono per sempre immutabili; rimangono gli stessi chiunque tu sia(“L’atteggiamento che l’uomo dovrebbe avere verso Dio” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Nelle parole di Dio, riuscii a vedere la Sua indole giusta. Dio non determina l’esito e la destinazione di una persona in base al dovere che questa svolge, a quanto lavoro ha fatto, o a quanto ha contribuito. Egli guarda se riesce a sottomettersi al Suo governo e alle Sue disposizioni, svolgendo il compito di un essere creato; valuta anche se alla fine riesce a ottenere la verità e a cambiare l’indole della propria vita. Senza perseguire la verità nella mia fede, per quanto stupefacente o ammirevole possa sembrare agli altri il mio compito, non sarei mai in grado di ottenere la verità, tanto meno di ottenere l’approvazione di Dio e la Sua salvezza. Pensai a un anticristo che la nostra Chiesa aveva espulso. Aveva svolto alcuni compiti importanti e aveva lavorato come capo, e alcuni nuovi membri della Chiesa avevano una grande stima di lei. Ma, nel suo dovere, non perseguiva la verità né un cambiamento di indole, anzi, faceva a gara per ottenere fama e prestigio ed era ancorata al cammino dell’anticristo. Commise ogni sorta di malvagità e turbò il lavoro della casa di Dio. Ecco perché alla fine venne cacciata. Vidi anche alcuni fratelli e sorelle che svolgevano doveri ordinari, che non sembravano niente di speciale, ma lo facevano in silenzio, senza lamentarsi. Quando incontravano problemi, cercavano la verità e la volontà di Dio. Nei loro doveri, erano illuminati e guidati dallo Spirito Santo e miglioravano continuamente nel loro lavoro. Vivevano sempre di più una parvenza umana. Ciò mi fece vedere che, nella fede, ottenere la verità non ha nulla a che fare con il tipo di dovere che si svolge. Qualunque sia il compito di una persona, la ricerca della verità e il cambiamento di indole sono fondamentali. È l’unica strada giusta da percorrere. Ora, che il capo mi faccia lavorare come macchinista o come bracciante, è tutto deciso e disposto da Dio ed è ciò che mi serve per il mio ingresso nella vita. Dovrei sempre accettarlo e sottomettermi. Nel mio compito, dovrei cercare la verità, praticare le parole di Dio e agire secondo i principi della verità. Solo ciò è in linea con la volontà di Dio. Comprendere tutto ciò mi lasciò un senso di libertà. Il capo, poi, mi assegnò compiti più banali, che accettai con tranquillità. Nel mio tempo libero, mi offrii anche di aiutare i fratelli e le sorelle nei lavori di casa. Quando praticavo in questo modo scoprivo che, aiutando a pulire, a piantare alberi o a scavare un fossato, c’era sempre una lezione da imparare. Dio non aveva pregiudizi contro di me perché facevo un lavoro fisico. Se ci mettevo il cuore, cercavo la verità e mettevo in pratica le parole di Dio, potevo mietere frutti in qualsiasi cosa.

Dopo averlo sperimentato, capii veramente che, qualunque fosse il mio compito, quello era quanto Dio aveva predisposto ed era ciò che mi serviva per il mio ingresso nella vita. Dovrei sempre accettarlo e obbedire, adempiere al mio compito e alle mie responsabilità, cercando la verità e il cambiamento di indole durante questo processo. Anche se avevo sempre classificato i diversi compiti e avevo resistito di fronte a un compito che non mi piaceva, diventando pieno di ribellione e di opposizione a Dio, Egli non mi trattò in base alle mie trasgressioni. Invece, mi condusse passo dopo passo con le Sue parole, permettendomi di capire la verità e conoscere le responsabilità e la missione di un essere creato. Egli mutò le mie prospettive sbagliate in modo da poter affrontare il mio compito in modo corretto e cominciare a obbedirGli. Questo era l’amore di Dio. Sia ringraziato Dio!

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