30. La cosiddetta conoscenza di sé

di Joseph, Corea del Sud

Dopo aver accettato l’opera di Dio degli ultimi giorni, mi riunivo sempre con fratelli e sorelle che credevano in Dio da molto tempo. Quando ho visto che, nelle condivisioni sulle parole di Dio, erano tutti in grado di parlare della corruzione che rivelavano, e che sapevano confrontare sé stessi, riflettere su sé stessi e analizzare la propria corruzione secondo le parole di Dio, sono diventato davvero invidioso e ho iniziato a imitarli. A poco a poco, sono diventato anche capace di confrontare me stesso con le parole di Dio e di ammettere la mia corruzione nel corso delle riunioni. Pensavo che questa fosse conoscenza di sé. Alcuni fratelli e sorelle vedevano che io credevo in Dio solo da due o tre anni, ma che quando parlavo della conoscenza di sé lo facevo in modo piuttosto strutturato e profondo, e loro mi guardavano con ammirazione. Io mi sentivo molto orgoglioso, pensavo di avere una buona levatura e di sapere come conoscere me stesso, e credevo che continuando a perseguire così non sarei stato lontano dal cambiare indole e dall’ottenere la salvezza. Dopodiché, mi sono concentrato sul dedicare i miei sforzi alla condivisione sulla mia conoscenza di me stesso, menzionando spesso parole austere di Dio che esponevano le persone, così da confrontare me stesso e far vedere agli altri che la mia comprensione era profonda e penetrante e che il mio ingresso nella vita era migliore di quello altrui. Non riflettevo mai sulla correttezza o meno di questo modo di comprendere, e solo in seguito, dopo essere stato potato diverse volte, ho realizzato che la mia conoscenza di me stesso era tutta una finta.

Nel novembre del 2020, insieme ad altre due sorelle, stavo revisionando dei video realizzati da alcuni fratelli e sorelle. In quel periodo, venivano presentati molti video e i fratelli e le sorelle sollevavano parecchie questioni, alcune delle quali non sapevo in che modo risolvere. A quel punto, è emerso il mio atteggiamento superficiale. Ho pensato: “Sono responsabile di diversi gruppi, perciò sono abbastanza impegnato e ancora ho una pila di video che devono essere rivisti. Se pondero e valuto con attenzione ciascun video in base ai principi e se cerco seriamente di risolvere ogni questione sollevata dai fratelli e dalle sorelle, mi ci vorrà un bel po’ di impegno. Quanto tempo libero mi rimarrebbe? Per il momento, mi limiterò a mettere da parte alcune delle questioni che non riesco a capire fino in fondo. Inoltre, le due sorelle che collaborano con me sono un po’ più lente nel revisionare i video, quindi se io li controllo velocemente non renderò forse un cattivo servizio a me stesso? Mi limiterò a tenere lo stesso ritmo di chiunque altro. Oltretutto, nessuno è in grado di svolgere il proprio dovere alla perfezione. Ci sono molte verità che neanch’io comprendo appieno. È impossibile risolvere pienamente tutte le questioni, perciò sarà sufficiente andarci vicino”. Pensando così, non ho profuso tanto impegno né nel risolvere alcune delle questioni presenti nei video, né nel dissipare la confusione dei fratelli e delle sorelle. In seguito, ho finito di revisionare tutti i video che avevo e, avendo rivisto più video delle sorelle che collaboravano con me, mi sono sentito piuttosto soddisfatto di me stesso e ho pensato di essere alquanto diligente e responsabile nel mio dovere. Qualche tempo dopo, però, il supervisore ha revisionato i video che noi avevamo presentato, ha trovato molti problemi basati sui principi e ci ha scritto una lettera severa per potarci: “Svolgete questo dovere da molto tempo, eppure questi fondamentali problemi di principio sono ancora ricorrenti. Questo non dovrebbe proprio succedere! Non è che non afferriate i principi, è piuttosto un grave caso di comportamento superficiale. È necessario che riflettiate adeguatamente sul vostro atteggiamento nei confronti del dovere!” Davanti alla severa potatura del supervisore, ho sentito di aver subito un torto e ho opposto resistenza. Ho pensato: “Ho profuso un bel po’ di impegno nel mio dovere ultimamente. Perché non menzioni nulla di positivo su di noi e ti concentri solo sull’esporre i nostri problemi? Peraltro, nessuno è in grado di svolgere il proprio dovere alla perfezione, ci sono sempre delle manchevolezze. Abbiamo una comprensione poco profonda della verità e non siamo in grado di capire fino in fondo alcune questioni, perciò è normale che in alcuni video che abbiamo presentato ci siano dei problemi; perché non riesci a capirlo?” In cuor mio, ho continuato a controbattere. Nel parlare con le sorelle con cui collaboravo, ho finito per esprimere i miei punti di vista, in modo intenzionale o no, dicendo: “Il supervisore è troppo esigente. La perfezione non esiste. Puoi controllare un video anche molte volte, ma ci saranno sempre delle questioni…” In seguito, quando ho visto che le due sorelle scrivevano in merito alle loro riflessioni e alla loro conoscenza, mi sono reso conto che quando ero stato potato avevo opposto una resistenza totale e volevo controbattere, e che tutto ciò non era affatto conoscenza di sé! La potatura era venuta da Dio e io dovevo accettarla, riflettere e conoscere me stesso. Quindi ho trovato alcune parole di Dio pertinenti per affrontare il mio stato di superficialità nel dovere e ho meditato su come avrei potuto scrivere più approfonditamente in merito alla mia riflessione su me stesso. Ho citato le parole di Dio più severe che espongono la superficialità delle persone, e ho detto cose del tipo che trattare il mio dovere con noncuranza era un grave tradimento nei confronti di Dio, che essere superficiale nel mio dovere era indice di scarsa umanità, e che diffondere fallacie per fuorviare le persone faceva di me una mela marcia. Dopo aver scritto, ho messo a confronto le mie riflessioni con quelle delle due sorelle e ho sentito che le mie erano più profonde. Ho provato un certo autocompiacimento e ho pensato che, se venivo potato, ero in grado di riflettere su di me e conoscermi, ero capace di analizzare in profondità me stesso alla luce delle parole di Dio e ho creduto di aver imparato la lezione. Ho provato anche un po’ di orgoglio, ho pensato che il supervisore, dopo aver letto le mie riflessioni, avrebbe di certo sentito che come capogruppo avevo una comprensione più profonda rispetto alle sorelle con cui collaboravo e che il mio ingresso nella vita era migliore del loro. Inoltre, avevo scritto su me stesso in modo molto negativo, così che il supervisore stavolta non avesse granché da dire. Con mia sorpresa, però, alcuni giorni dopo ho ricevuto un’altra lettera dal supervisore. Questa era perfino più dura della precedente, affermava in maniera diretta che la mia riflessione su me stesso e la mia conoscenza erano superficiali, che non mi conoscevo davvero e che i miei punti di vista fallaci avevano fuorviato le sorelle e fatto sì che tutti trascurassero la conoscenza di sé. Diceva anche che le conseguenze di questo erano serie e che dovevo riflettere ulteriormente. Ho trovato difficile accettare queste dure parole di smascheramento e ho pensato: “Com’è possibile che io non conosca davvero me stesso? Attingo alle parole di Dio per riflettere sulla mia corruzione e analizzarla, e la mia conprensione è più profonda di quella delle sorelle con cui lavoro. Questa non è forse autentica conoscenza di sé? Se le sorelle non conoscono loro stesse, com’è possibile che fossero fuorviate da me? Io mi limitavo a parlare casualmente, in che modo le stavo fuorviando?” Per diversi giorni, ho sentito di aver subito un torto e ho opposto resistenza, credendo che il supervisore mi stesse prendendo di mira e stesse cercando di rendermi la vita difficile. Mi concentravo interamente su di lui e non riflettevo su me stesso né mi conoscevo in maniera adeguata. Il mio cuore si è fatto sempre più oscuro e avvilito, non riuscivo a placare il mio cuore nel dovere, e le mie preghiere non erano capaci di trovare Dio. Mi sono reso conto che c’era qualcosa di sbagliato nel mio stato. A quel punto, ho ripensato alla lettera che avevo scritto al supervisore. L’avevo scritta bene e avevo ammesso di aver diffuso negatività e di aver indotto le sorelle che lavoravano con me a schierarsi al mio fianco e nutrire insoddisfazione nei confronti del supervisore, e avevo anche ammesso che diffondere fallacie e fuorviare le persone faceva di me una mela marcia, ma perché mai, quando il supervisore mi esponeva e mi potava in quel modo, io non riuscivo ad accettarlo e opponevo così tanta resistenza? Questo non significava forse che la mia precedente conoscenza era stata falsa? Non era stata un’autentica conoscenza di sé! Mi sono reso conto anche che mi ero soltanto forzato a scrivere alcune parole per confrontare me stesso e conoscermi, così da fare una buona impressione sul supervisore. Questo tipo di conoscenza di sé non era forse falso e ingannevole? A quel punto, mi sono reso conto gradualmente che non avevo davvero accettato la potatura, che non possedevo realmente un’autentica conoscenza di me e che l’oscurità e l’avvilimento che sentivo nel cuore erano dovuti al fatto che Dio era disgustato dalle mie azioni e mi stava nascondendo il Suo volto. Mi sono presentato davanti a Dio e ho pregato, chiedendoGli di illuminarmi affinché vedessi con chiarezza i problemi che avevo dentro di me.

In seguito, ho letto due passi delle parole di Dio: “La prima cosa che alcuni dicono quando condividono la loro conoscenza di sé è: ‘Sono un diavolo, un Satana vivente, una persona che oppone resistenza a Dio. Mi ribello a Lui e Lo tradisco; sono una vipera, una persona malevola che dovrebbe essere maledetta’. Questa è forse vera conoscenza di sé? Parlano solo in maniera generica. Perché non forniscono esempi? Perché non portano alla luce del sole le cose vergognose che hanno fatto perché vengano analizzate? Alcuni, privi di discernimento, ascoltano costoro e pensano: ‘Questa sì che è vera conoscenza di sé! Si riconoscono in quanto diavoli e arrivano persino a maledire sé stessi: che livello altissimo hanno raggiunto!’ Molte persone, in particolare i nuovi credenti, sono inclini a farsi fuorviare da questi discorsi. Pensano che chi parla in questo modo sia puro e possieda comprensione spirituale, che sia qualcuno che ama la verità e che sia qualificato per diventare leader. Tuttavia, dopo aver interagito con costui per un po’, scoprono che non è così, che la persona non è come l’avevano immaginata, anzi, che è estremamente falsa e propensa all’inganno, abile nel travestimento e nella finzione, e questo costituisce una grande delusione. […] Per esempio, una persona può sapere di essere propensa all’inganno, di essere colma di trame e piani meschini, e può anche essere in grado di capire quando gli altri rivelano propensione all’inganno. Quindi, bisognerebbe verificare se tale persona, dopo aver ammesso di essere propensa all’inganno, sia veramente pentita e si sia liberata della propria propensione all’inganno. Se la rivela di nuovo, bisogna vedere se prova rimorso e vergogna per averlo fatto, se prova sinceramente rimorso oppure no. Se non mostra alcuna vergogna né tanto meno pentimento, allora ha una consapevolezza di sé sommaria e approssimativa. Sta solo facendo le cose meccanicamente; la sua non è una vera conoscenza. Non percepisce quell’inganno come un male o come qualcosa di demoniaco, e di certo non percepisce che comportamento vergognoso e abietto sia. Pensa: ‘Tutti gli uomini sono propensi all’inganno. È sciocco chi non lo è. Un pizzico di inganno non rende cattivi. Io non ho fatto alcun male, non sono io il più propenso all’inganno là fuori’. Una persona del genere può davvero conoscere sé stessa? Certamente no. Questo perché non ha conoscenza della propria indole propensa all’inganno, non detesta l’inganno, e tutto ciò che dice sulla conoscenza di sé è finto e vacuo. Il non riconoscere la propria indole corrotta non è vera conoscenza di sé. Se le persone propense all’inganno non riescono a conoscere davvero sé stesse è perché non è facile per loro accettare la verità. Perciò, a prescindere da quante parole e dottrine sappiano declamare, non cambieranno veramente(La Parola, Vol. 3: I discorsi di Cristo degli ultimi giorni, “Solo la conoscenza di sé è di aiuto nel perseguire la verità”). “Come si può distinguere se una persona ami o meno la verità? Da un lato, si deve guardare se questa persona sia capace di arrivare a conoscere sé stessa in base alla parola di Dio, se sa riflettere su di sé e provare autentico rimorso; dall’altro, si deve guardare se sia in grado di accettare e praticare la verità. Se la accetta e la mette in pratica, allora è una persona capace di amare la verità e di sottomettersi all’opera di Dio. Se si limita a riconoscere la verità, ma non la accetta né la pratica mai, come dicono alcuni: ‘Comprendo tutta la verità, ma non so metterla in pratica’, questo dimostra che non è una persona che ama la verità. Alcuni ammettono che la parola di Dio è la verità e di possedere un’indole corrotta, e dichiarano anche di essere intenzionati a pentirsi e a cambiare completamente, ma a queste affermazioni non fa seguito alcun cambiamento. Le loro parole e azioni restano immutate. Quando parlano di conoscere sé stessi, è come se raccontassero una barzelletta o gridassero uno slogan. Non riflettono né arrivano a conoscere sé stessi nel profondo del loro cuore; la questione principale è che non hanno alcun atteggiamento di rimorso. Men che meno si stanno aprendo sulla loro corruzione in modo sincero allo scopo di riflettere veramente su sé stessi, ma piuttosto stanno fingendo di conoscere sé stessi agendo in maniera meccanica e seguendo la routine. Non sono persone che conoscono davvero sé stesse, né che accettano la verità. Quando parlano di conoscere sé stesse, se la stanno solo sbrigando; si stanno impegnando in finzioni, frodi e falsa spiritualità. Alcune persone sono propense all’inganno e, quando vedono che gli altri condividono sulla propria conoscenza di sé, pensano: ‘Tutti gli altri si aprono e analizzano il loro inganno. Se io non dico nulla, penseranno che non conosca me stesso, quindi dovrò attenermi meccanicamente a ciò che va fatto’. Dopo di che, descrivono il loro inganno come estremamente grave, illustrandolo in modo teatrale, e danno l’impressione di possedere una profondissima conoscenza di sé. Tutti quelli che le ascoltano si convincono che esse conoscono veramente sé stesse e, quindi, le guardano con invidia, facendole, di conseguenza, sentire glorificate, come se si fossero appena adornate di un’aureola. Questa maniera di conoscere sé stesse, ottenuta facendo le cose meccanicamente, insieme alla loro simulazione e al loro imbroglio, fuorvia gli altri(La Parola, Vol. 3: I discorsi di Cristo degli ultimi giorni, “Solo la conoscenza di sé è di aiuto nel perseguire la verità”). Attraverso lo smascheramento delle parole di Dio, e confrontandomi con esso, mi sono reso conto che la mia conoscenza di me stesso non era nient’altro che ipocrisia e inganno. La mia conoscenza di me stesso era stata solo uno sfoggio per compiacere il mio supervisore. Pensavo che lui aveva fatto notare i nostri problemi, definendoci irresponsabili e superficiali nei nostri doveri, e che, davanti alle sorelle che lavoravano con me e che riflettevano tutte su loro stesse, se io non conoscevo me stesso sarebbe sembrato come se non stessi accettando la potatura. Se la mia riflessione come capogruppo era meno profonda rispetto a quella degli altri, ciò non avrebbe fatto sembrare scarso il mio ingresso nella vita? Con questa intenzione, ho scritto riluttante alcune parole di riflessione e di conoscenza di sé, ma questa non era una genuina conoscenza proveniente dal cuore, né una vera comprensione che scaturisse dall’accettare il giudizio e il castigo delle parole di Dio. Non provavo nessuna sensazione di dolore né mi sentivo in debito. Era solo per farmi vedere dagli altri, come se non stessi facendo altro che declamare slogan e parole ampollose. Riconoscevo a parole il mio atteggiamento superficiale, ma in cuor mio non ci credevo veramente. Ho perfino pensato: “Non è poi così importante se ci sono problemi o deviazioni nel mio dovere. Chi è mai capace di svolgere il proprio dovere senza alcun problema? Il supervisore sta solo approfittando di un piccolo problema nel mio dovere per potarmi e redarguirmi. È troppo esigente!” Stavo anche diffondendo malcontento nei confronti del supervisore alle sue spalle. In che modo questa era autentica conoscenza di sé? La cosa peggiore era che, anche se dentro di me chiaramente non accettavo la potatura del supervisore, mi comportavo come se invece l’accettassi, applicando a me stesso le parole di Dio che esponevano la superficialità delle persone. Ho capito che i miei stati interiori ed esteriori erano in conflitto, ingannando gli altri e dando loro una falsa impressione. Ero davvero propenso all’inganno! È stato solo attraverso la rivelazione dei fatti che mi sono pienamente convinto. Non avevo veramente nessuna reale comprensione di me stesso. La mia conoscenza di me non era altro che parole vuote e formali, niente di più che messinscena e inganno. A prescindere da quanto apparisse profonda o accurata la mia riflessione, era solo falsa e contraffatta. Rendendomi conto di questo, sono tornato in me. In tutti quegli anni di fede in Dio, avevo sempre parlato di conoscenza di sé e analizzato me stesso durante le riunioni, ma perfino con tutta questa conoscenza, non c’era ancora stato un gran cambiamento. La mia conoscenza di me era stata solo per guadagnare l’ammirazione e l’elogio altrui, per sfoggiare il mio cosiddetto buon ingresso nella vita e perfino per confrontare segretamente la mia condivisione e la mia conoscenza nelle riunioni con quelle delle mie sorelle, così da vedere chi aveva la comprensione più profonda e accurata. La mia conoscenza di me era solo sulla carta e, anche se ero pieno di slogan grandiosi e mi ero autoesposto duramente, a volte perfino dicendo che ero un diavolo, un Satana e un anticristo, questo non significava realmente accettare il giudizio delle parole di Dio e non proveniva dal cuore. Mi limitavo piuttosto a fare citazioni dalle parole di Dio per declamare dottrine grandiose che suonavano profonde ma che in realtà erano vuote, senza avere molta comprensione reale del mio stato corrotto. Questo genere di conoscenza di sé ingannava gli altri e accecava me. Pensavo sempre che, ammettendo la mia corruzione e confrontando me stesso con ciò che le parole di Dio espongono dell’essenza corrotta degli umani, stavo davvero conoscendo me stesso, e addirittura mi ammiravo per questo. In realtà, però, non riuscivo nemmeno ad accettare una singola opinione corretta e, quando venivo potato, controbattevo e cercavo di giustificarmi. Se fossi andato avanti così, anche se avessi creduto in Dio per tutta la vita e avessi parlato di conoscenza di sé ogni giorno, non avrei comunque raggiunto un autentico pentimento o cambiamento, e alla fine la mia indole satanica sarebbe rimasta immutata e io sarei stato di certo abbandonato ed eliminato da Dio. Rendendomi conto di questo, ho capito quanto fossi sciocco e in pericolo!

In seguito, ho letto un altro passaggio delle parole di Dio: “Alcuni anticristi sono particolarmente abili a fingere, imbrogliare le persone e costruirsi una facciata. Quando incontrano qualcuno che capisce la verità, si mettono a parlare della propria conoscenza di sé e dicono di essere un diavolo e un Satana, che la loro umanità è cattiva e che meritano di essere maledetti. Se chiedi: ‘Giacché dici di essere un diavolo e un Satana, quali azioni malvagie hai compiuto?’, loro risponderanno: ‘Non ho fatto niente, ma sono un diavolo. E non soltanto un diavolo, sono anche un Satana!’ Allora tu chiedi: ‘Giacché dici di essere un diavolo e un Satana, quali azioni malvagie da diavolo e da Satana hai compiuto, e come ti sei opposto a Dio? Puoi dire la verità sulle azioni malvagie che hai compiuto?’ E loro risponderanno: ‘Non ho fatto niente di malvagio!’ Allora insisti e chiedi: ‘Se non hai fatto niente di malvagio, perché dici di essere un diavolo e un Satana? Cosa cerchi di ottenere dicendo queste cose?’ Quando parli in maniera tanto seria, loro non avranno niente da dire. In realtà hanno fatto molte cose cattive, ma non ve le sveleranno mai. Si limiteranno a fare grandi discorsi e declamare qualche dottrina per parlare della loro conoscenza di sé in maniera vuota. Se devono parlare nel dettaglio di come hanno adescato le persone, le hanno imbrogliate e usate sulla base dei loro sentimenti, di come non hanno preso seriamente gli interessi della casa di Dio, di come sono andati contro alle disposizioni lavorative, di come hanno imbrogliato il Supremo e nascosto le cose ai propri fratelli e sorelle, di quanto hanno danneggiato gli interessi della casa di Dio, di tutte queste cose non diranno nemmeno una parola. Questa è vera conoscenza di sé? (No.) Dicendo di essere un diavolo e un Satana non stanno forse simulando conoscenza di sé per poter esaltare e testimoniare sé stessi? Non è forse uno dei metodi che usano di solito? (Sì.) Una persona comune non riesce a capire fino in fondo il loro metodo. […] A volte Satana fuorvia le persone esaltando e testimoniando sé stesso, e a volte può ammettere i propri errori in modo indiretto, quando non ha altra scelta, ma è solo una facciata e il suo obiettivo è ottenere la simpatia e la comprensione delle persone. Arriverà a dire: ‘Nessuno è perfetto. Tutti hanno un’indole corrotta e tutti possono sbagliare. Fintanto che riescono a correggersi, sono delle brave persone’. Quando gli altri sentono queste cose, sentono che ha ragione e continuano a adorarlo e seguire Satana. Il metodo di Satana è riconoscere proattivamente i propri errori mentre di nascosto esalta sé stesso e migliora la propria posizione nei cuori degli altri, in modo che questi accettino tutto di lui, perfino i suoi errori, e poi li perdonino, li dimentichino piano piano e alla fine accettino Satana completamente, diventandogli fedeli fino alla morte, senza mai lasciarlo o abbandonarlo e seguendolo fino alla fine. Questo non è forse il modo di fare di Satana? È così che agisce, e anche gli anticristi usano questo genere di metodo quando agiscono per raggiungere le proprie ambizioni e il proprio scopo di spingere le persone a adorarli e seguirli. Le conseguenze di tutto questo sono le stesse, per niente diverse dalle conseguenze di quando Satana fuorvia e corrompe le persone(La Parola, Vol. 4: Smascherare gli anticristi, “Tema 4: Esaltano e testimoniano sé stessi”). Riflettendo su me stesso, ero esattamente come Dio aveva esposto. Quando ero stato potato, era chiaro che dentro di me controbattevo e mi rifiutavo di sottomettermi, ma per far sì che gli altri dicessero che accettavo la verità e che l’impressione negativa del supervisore sul mio conto fosse sostituita da una buona impressione, avevo analizzato i miei problemi e ne avevo acquisito conoscenza senza esitazione, avevo usato alcune parole dure per confrontarmi e avevo detto che ero “privo di umanità”, “fuorviavo gli altri” e “intralciavo e disturbavo il lavoro della chiesa”, per fare in modo che gli altri pensassero che capivo me stesso in profondità e in maniera accurata. In verità, stavo facendo un passo indietro per farne due avanti, usando la mia immediata ammissione di colpa per mettere gli altri a tacere e far sì che tutti mi sostenessero, mi ammirassero e dicessero che ero in grado di accettare la verità, che avevo un ingresso nella vita e che correggevo i miei errori una volta che ne acquisivo conoscenza. Mi servivo di false apparenze e dottrine vuote per farmi bello, quando in realtà volevo soltanto mettermi in mostra, esaltare me stesso e ingannare gli altri. Capivo che la mia conoscenza nascondeva molte motivazioni e trame vergognose che miravano a mascherare me stesso, fuorviare gli altri e indurli ad ammirarmi. Ero davvero disgustoso! Inoltre, non pensavo realmente che i miei problemi fossero seri, però mi descrivevo come esecrabile e spregevole. Essenzialmente, quello che stavo facendo era rendere falsa testimonianza allo scopo di fuorviare gli altri. È stato solo attraverso questa rivelazione che ho capito quanto fosse davvero propensa all’inganno la mia natura, tanto che riuscivo perfino a falsificare e contraffare la mia conoscenza di me stesso. Lo smascheramento e la potatura del supervisore erano giustissime!

In seguito, ho letto un passaggio delle parole di Dio e ho guadagnato una certa comprensione del cammino sbagliato che avevo intrapreso. Dio Onnipotente dice: “Tra coloro che cercano la vita, Paolo fu una persona che non conosceva la propria sostanza. Non era affatto umile e neppure sottomesso, e non conosceva la propria essenza, che si opponeva a Dio. Perciò fu un individuo che non aveva subito esperienze dettagliate e che non mise in pratica la verità. Pietro era diverso. Conosceva le proprie imperfezioni, debolezze e la propria indole corrotta come essere creato, così percorse una strada della pratica, attraverso la quale modificare la propria indole; non era uno di coloro che avevano solo la dottrina ma non possedevano alcuna realtà. Quelli che cambiano sono persone nuove che sono state salvate, che sono qualificate per cercare la verità. Le persone che non cambiano sono naturalmente obsolete; sono quelle che non sono state salvate, cioè che sono rifiutate con disprezzo da Dio. Per quanto grande sia il loro lavoro, non saranno ricordate da Dio. Quando fai un confronto con la tua ricerca, dovrebbe essere lampante se tu sia, in definitiva, una persona dello stesso tipo di Pietro o di Paolo. Se non c’è ancora alcuna verità in ciò che cerchi e se a tutt’oggi sei arrogante e insolente come Paolo e sei rimasto superficiale e vanaglorioso come lui, sei senza dubbio un degenerato destinato a fallire. Se cerchi le stesse cose di Pietro, se cerchi delle pratiche e veri cambiamenti e non sei arrogante o caparbio, ma provi a fare il tuo dovere, sarai un essere creato che può ottenere la vittoria. Paolo non conosceva la propria sostanza o corruzione, né tantomeno la propria ribellione. Non menzionò mai la sua spregevole sfida a Cristo né se ne pentì. Diede solo una breve spiegazione e, nel profondo del suo cuore, non cedette completamente a Dio. Anche se cadde sulla via di Damasco, non guardò a fondo dentro di sé. Si accontentò semplicemente di continuare a lavorare, non ritenendo che conoscere sé stesso e cambiare la sua vecchia indole fosse la questione più importante. Si accontentò semplicemente di dire la verità, di provvedere agli altri come balsamo per la propria coscienza e di non perseguitare più i discepoli di Gesù per consolarsi e perdonare a sé stesso i peccati del passato. L’obiettivo che perseguiva non era altro che una corona futura e un lavoro transitorio, una grazia copiosa. Non cercò una verità adeguata né tentò di andare più a fondo nella verità che non aveva compreso in precedenza. Quindi si può dire che la sua conoscenza di sé era falsa e che egli non accettò il castigo né il giudizio. Il fatto che fosse in grado di lavorare non significa che possedesse una conoscenza della propria natura o sostanza; la sua attenzione si concentrò soltanto su pratiche esteriori. Ciò che cercò di ottenere, inoltre, non fu il cambiamento, ma la conoscenza. Il suo lavoro fu unicamente conseguenza della manifestazione di Gesù sulla via di Damasco. Non fu una cosa che Paolo aveva deciso di fare inizialmente, né fu un lavoro verificatosi dopo che aveva accettato la potatura della sua vecchia indole. Comunque egli abbia lavorato, quest’ultima non cambiò e così il suo lavoro non espiò i peccati del passato, bensì semplicemente svolse un certo ruolo tra le chiese dell’epoca. Per una persona di questo tipo, la cui vecchia indole non cambiò, cioè per un individuo che non ottenne la salvezza e che fu ancora più privo della verità, Paolo fu assolutamente incapace di diventare uno di quelli accettati dal Signore Gesù(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Il successo o il fallimento dipendono dalla strada che l’uomo percorre”). Le parole di Dio espongono i cammini intrapresi da Pietro e Paolo. Il successo di Pietro nel credere in Dio risiedette nel suo coscienzioso perseguire la verità e concentrarsi sulla conoscenza di sé. Egli confrontò rigorosamente sé stesso con le parole del Signore Gesù che esponevano l’umanità, rifletté su sé stesso alla luce delle parole di Dio e infine guadagnò l’autentica conoscenza di sé. Il fallimento di Paolo fu dovuto al suo non avere conoscenza della propria essenza corrotta. Si accontentò solo di riconoscerlo a parole, definendosi un peccatore e il capo dei peccatori. Ma non analizzò mai né mise mai a nudo quanto fosse ribelle nei confronti del Signore Gesù e quanta resistenza Gli opponesse, né quanto male avesse commesso. La sua conoscenza di sé fu vuota e falsa. Non solo questo non riuscì a portarlo a un cambiamento della sua indole di vita, ma lo fece perfino diventare più arrogante e alla fine egli rese spudoratamente testimonianza a sé stesso, affermando che viveva come Cristo. Attraverso lo smascheramento delle parole di Dio, io mi sono reso conto che stavo percorrendo lo stesso cammino di Paolo. In tutti quegli anni di fede in Dio, avevo parlato di conoscenza di sé nelle riunioni e davanti ai fratelli e alle sorelle, definendomi arrogante, egoista, abietto e privo di umanità, affermando addirittura di essere un diavolo e un satana, con parole di conoscenza di sé che fluivano facilmente dalla mia bocca e, a prescindere da quale aspetto della mia indole corrotta stessi riconoscendo, ero capace di parlarne per dieci o anche venti minuti. In cuor mio, però, non provavo alcun dolore o angoscia. Non riuscivo a non chiedermi: “Con tutta questa conoscenza di me in tutti questi anni, ho davvero accettato il giudizio di qualunque parola di Dio? Sono davvero giunto a odiare me stesso? Quale aspetto della mia indole corrotta è realmente cambiato?” Ogni volta durante le riunioni o quando gli altri mi esponevano, io discutevo di una qualche conoscenza dottrinale solo per sbrigarmela, ma nel mio cuore non provavo senso di colpa né mi sentivo in debito e, dopo, non pensavo mai a come perseguire il cambiamento. Più mi riconoscevo in questo modo, più diventavo negligente e perdevo la mia motivazione di fare progressi nei miei doveri. La mia conoscenza di me stesso non aveva affatto portato alcun cambiamento in me. Piuttosto, mi aveva reso autocompiaciuto e un ammiratore di me stesso. Pensavo di avere ammesso la mia superficialità, il mio egoismo e la mia spregevolezza, e di aver riconosciuto la mia mancanza di umanità. Pensavo perfino che la mia comprensione fosse più profonda e più accurata rispetto a quella degli altri e che ciò significasse che avevo avuto accesso alla verità. Tale ipocrita conoscenza di sé non solo ingannava gli altri, ma fuorviava anche me e, alla fine, ero l’unico a subire una perdita. Infatti, alcuni fratelli e sorelle avevano discernimento di questa mia cosiddetta conoscenza di me stesso. Un fratello mi aveva perfino detto: “La conoscenza di sé di cui parli sembra grandiosa e fuori dalla portata della maggior parte delle persone, e all’inizio io l’ammiravo, ma col passare del tempo non ti ho visto ottenere granché in termini di cambiamento o ingresso!” Riflettendoci meglio, è davvero patetico! Negli anni, mentre svolgevo i miei doveri, Dio ha disposto parecchi ambienti per me e ho anche affrontato molte potature, ma ho lasciato che tutte queste opportunità scivolassero via e non ho riflettuto adeguatamente su me stesso né ho acquisito conoscenza di me riguardo a tali questioni. Dio ha espresso così tante parole, esponendo ogni aspetto dell’indole corrotta dell’uomo con la speranza che le persone riuscissero davvero ad accettare il giudizio delle Sue parole, si liberassero della propria indole corrotta e raggiungessero la salvezza. Ma io mi ero servito delle parole letterali di Dio solo come strumento per mettermi in mostra, equipaggiandomi con un cumulo di dottrine, ma senza cambiare affatto la mia indole corrotta. Ero proprio come i farisei ipocriti. Pensando a questo, ho provato un senso di crisi e mi sono reso conto che non potevo continuare così, perciò ho pregato Dio chiedendoGli di guidarmi per correggere i miei perseguimenti sbagliati e per conoscere davvero me stesso.

Attraverso la preghiera e la ricerca, ho trovato un cammino di pratica e un ingresso nelle parole di Dio. La parola di Dio dice: “Se la conoscenza che hai di te stesso consiste solo nell’identificazione frettolosa di cose superficiali – se ti limiti a dire che sei arrogante e presuntuoso, che ti ribelli e ti opponi a Dio, allora questa non è vera conoscenza, bensì dottrina. Devi integrarla con i fatti: devi portare alla luce qualsiasi questione sulla quale serbi intenzioni o visioni erronee, o opinioni distorte, per la condivisione e l’analisi. Soltanto questo è conoscere davvero sé stessi. Non dovresti ottenere una comprensione di te stesso sulla sola base delle tue azioni; devi cogliere ciò che è fondamentale e risolvere il problema alla radice. Trascorso un certo periodo di tempo, devi riflettere su te stesso e riepilogare quali problemi hai risolto e quali sono ancora presenti. Devi anche ricercare la verità per risolvere questi ultimi. Non devi essere passivo, non devi sempre aspettare che altri ti convincano o ti incoraggino a fare le cose, o addirittura ti menino per il naso; devi avere il tuo percorso per l’ingresso nella vita. Devi esaminarti spesso per vedere quali cose hai detto e fatto che sono in disaccordo con la verità, quali delle tue intenzioni sono sbagliate, e quali tipi di indole corrotta hai rivelato. Se pratichi e accedi sempre in questo modo, se fai richieste severe a te stesso, allora sarai a poco a poco in grado di comprendere la verità, e otterrai ingresso nella vita. Quando avrai compreso autenticamente la verità, capirai di essere una nullità. Tanto per cominciare, hai un’indole gravemente corrotta; inoltre, sei troppo carente e non comprendi alcuna verità. Se arriverà il giorno in cui possiederai davvero una tale conoscenza di te stesso, non sarai più capace di arroganza, e in molte questioni avrai ragionevolezza e sarai capace di sottomissione. Qual è la questione fondamentale, ora come ora? Attraverso la condivisione e l’analisi dell’essenza delle nozioni, le persone sono arrivate a comprendere il motivo per cui sviluppano nozioni; sono in grado di eliminarne alcune, ma questo non significa che riescono a vedere chiaramente l’essenza di ognuna, significa soltanto che conoscono un po’ sé stesse, ma la loro conoscenza non è ancora abbastanza profonda o precisa. In altre parole, non riescono ancora a vedere chiaramente la loro natura essenza, né quali tipi di indole corrotta hanno attecchito nei loro cuori. C’è un limite alla conoscenza di sé che una persona può ottenere in questo modo. Alcuni dicono: ‘Sono consapevole che la mia indole è estremamente arrogante: non significa che conosco me stesso?’ Una simile conoscenza è troppo superficiale; non può risolvere il problema. Se conosci davvero te stesso, allora perché cerchi ancora l’avanzamento personale, perché brami ancora il prestigio e la distinzione? È segno che la tua natura arrogante non è stata estirpata. Pertanto, il cambiamento deve cominciare dai tuoi pensieri e dalle tue visioni e intenzioni che si celano dietro le tue parole e azioni(La Parola, Vol. 3: I discorsi di Cristo degli ultimi giorni, “Come l’uomo passa nella nuova età”). Dopo aver letto le parole di Dio, ho guadagnato un po’ di chiarezza sul cammino che conduce alla conoscenza di sé. Ho riflettuto su me stesso e mi sono riconosciuto riguardo a tale questione, chiedendomi: “Perché ero tanto superficiale nel mio dovere? Perché, quando il supervisore mi ha esposto e potato per la mia irresponsabilità, ero riluttante ad accettarlo? Quali intenzioni e punti di vista guidavano tutto questo?” Nella mia riflessione, mi sono reso conto che sotto un certo aspetto avevo troppa considerazione della mia carne e che, ogni volta che dovevo sopportare sofferenze carnali, volevo solo battere la fiacca. Inoltre, nutrivo lo spregevole pensiero che, dal momento che il mio dovere era condiviso fra tre persone, se io avessi revisionato di più, infuso maggiore impegno o sofferto di più rispetto alle mie sorelle, sarei stato uno sciocco e avrei reso un cattivo servizio a me stesso. Trattavo il mio dovere come se stessi lavorando per un datore di lavoro, calcolavo sempre le mie perdite e i miei guadagni e mi sentivo defraudato se facevo un po’ di lavoro in più o se soffrivo un pizzico in più degli altri. Davo l’impressione di svolgere il mio dovere, ma in realtà ero pieno di trame malvagie e pensavo solo al mio vantaggio personale. Ero davvero egoista e spregevole! Per di più, ho scoperto che avevo un altro punto di vista sbagliato, e cioè credevo che nessuno fosse perfetto, che nessuno potesse svolgere il proprio dovere alla perfezione e che fosse normale avere qualche problema o deviazione, così quando sono stato potato non ho riflettuto su me stesso né ho avuto conoscenza di me, ma ho soltanto pensato che il supervisore fosse troppo esigente. Quando ho davvero riflettuto su di me e mi sono analizzato, mi sono reso conto che quel punto di vista non era conforme alla verità. Sebbene Dio non ci richieda di svolgere i nostri doveri alla perfezione, Egli spera che riusciamo a dare tutto nel loro svolgimento. Questo è il principio cui dovremmo aderire nei nostri doveri. Ma mi attenevo a punti di vista errati ed ero riluttante a impegnarmi perfino quando un filo di attenzione in più avrebbe potuto prevenire dei problemi. Non facevo del mio meglio, men che meno ci mettevo il cuore. Questo faceva emergere sempre più problemi nel mio dovere, lo ostacolava direttamente e gli causava perdite. Dopo essermi reso conto di questo, sono stato capace di comprendere un po’ il mio stato interiore.

Proprio mentre stavo guadagnando una certa comprensione, il supervisore è venuto a tenere una riunione con noi e ha chiesto quale compresione avessimo avuto del nostro essere stati recentemente potati e rivelati. Io ho iniziato a organizzare nella mia testa quello che avrei detto, chiedendomi: “In che modo posso parlare per far sì che il supervisore pensi che ho conoscenza di me? In che modo posso parlare per far sembrare che io abbia una comprensione profonda? Se la mia comprensione appare troppo poco profonda, il supervisore e le sorelle mie collaboratrici mi guarderanno dall’alto in basso per il mio scarso ingresso nella vita?” Quando ho pensato così, mi sono subito reso conto di questo: “Non sto forse ancora cercando di mascherarmi con dottrine profonde per guadagnare l’ammirazione altrui?” Sapevo che era un’opportunità che Dio aveva disposto per me affinché praticassi la verità e fossi una persona onesta, perciò ho pregato Dio nel mio cuore e ho deciso che, a prescindere da come mi vedevano i fratelli e le sorelle, io dovevo esprimere la verità dal mio cuore e condividere su quel che avevo compreso. Dopodiché, ho condiviso sul mio comportamento del farmi bello e del fuorivare gli altri e sulle intenzioni che vi erano dietro. Ho anche confessato che in quel momento avevo solo riconosciuto che la mia comprensione precedente era stata falsa e contraffatta, e che ero consapevole della mia intenzione di essere superficiale, ma non avevo realizzato appieno la natura e le conseguenze della mia superficialità. Dopo aver espresso i miei veri pensieri e la mia vera comprensione, in cuor mio mi sono sentito a mio agio poiché avevo finalmente permesso agli altri di vedere il vero me stesso e non avevo più bisogno di scervellarmi per farmi bello. In seguito, mi sono spesso nutrito delle parole di giudizio e smascheramento di Dio in merito al mio stato di superficialità nel dovere, ho riflettuto sul mio stato e sul mio comportamento e li ho riconosciuti. Se non ero in grado di capire qualcosa, cercavo presso i miei fratelli e le mie sorelle. Attraverso la guida e l’aiuto di tutti, ho guadagnato una certa comprensione reale di me stesso e, quando sono tornato a svolgere il mio dovere, la mia superficialità è diminuita. Quando incontravo problemi e difficoltà nel mio dovere e non sapevo come risolverli, pregavo Dio in merito a questi problemi e mi affidavo a Lui, cercando le verità principi pertinenti o condividendo con le sorelle con le quali lavoravo, oppure cercando presso il supervisore, sforzandomi di capire appieno tali questioni e di chiarirle. Sebbene praticare in questo modo richiedesse più tempo e fatica e mi causasse un po’ più di sofferenza rispetto al solito, attraverso la ricerca e la condivisione sono riuscito a comprendere alcune verità in maniera più chiara, i problemi sono stati prontamente risolti e il lavoro è diventato a poco a poco sempre più efficace.

Tramite questa esperienza ho trovato alcuni cammini di pratica relativi alla conoscenza di sé. Ho realizzato anche che solo afferrando i miei pensieri, le mie intenzioni e le mie rivelazioni di corruzione, e solo riflettendo su di essi e comprendendoli alla luce delle parole di Dio, avrei potuto guadagnare l’illuminazione dello Spirito Santo, capire la natura dei problemi, riconoscere la mia indole e la mia essenza corrotte, odiare realmente me stesso ed essere disposto a perntirmi e a cambiare. Applicare etichette a sé stessi, seguire le regole e riconoscere ipocritamente sé stessi sono cose fatte per impressionare gli altri e non conducono al rimorso e al pentimento autentici. Tutt’al più, queste cose sfociano nel seguire le regole e nel frenarsi, ma dopo un po’ i vecchi problemi ritornano. È come le persone religiose, che commettono peccato e poi si confessano. A prescindere da quanti anni credano in Dio, non riescono a ottenere un cambiamento di indole. Mi sono reso conto di quanto fosse cruciale conoscere davvero sé stessi, poiché ciò è direttamente correlato alla possibilità di riuscire a pentirsi, a cambiare e a essere salvati. Ripensando ai miei anni di fede in Dio, sembrava che mi nutrissi delle Sue parole e svolgessi i miei doveri ogni giorno, invece non accettavo veramente le parole di giudizio o castigo di Dio. Se non fosse stato per questa esperienza della potatura, starei ancora vivendo secondo le mie nozioni e fantasie, e non avrei conoscenza di me stesso. Sia lodato Dio, che ha disposto questa situazione allo scopo di correggere le deviazioni del mio perseguimento.

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