Le torture subite dietro le sbarre
Una mattina di novembre del 2004 sono andato a casa di una sorella più anziana per partecipare a una riunione. Proprio mentre stavo per bussare, la porta si è aperta all’improvviso e un paio di mani mi ha afferrato e trascinato dentro. Squadrandomi dall’alto al basso e parlando con voce profonda e roca, un uomo mi ha minacciato: “Guai a te se apri bocca!” Un altro sconosciuto mi ha stretto la gola e mi ha preso a calci negli stinchi mentre mi chiedeva cosa stessi facendo lì e quante altre persone sarebbero venute. Mi sono reso conto di avere a che fare con dei poliziotti e, agitato, ho detto: “Sono qui solo per consegnare l’acqua e incassare i soldi della bolletta”. Uno di loro mi ha chiesto: “Sei Chen Hao, vero?” Quella domanda mi ha colto alla sprovvista: come faceva a conoscere il mio nome? Prima di lasciarmi il tempo di rispondere, hanno iniziato a perquisirmi, mi hanno confiscato un computer portatile e oltre 600 yuan e poi mi hanno ammanettato. Ho sentito qualcuno dire: “In fin dei conti, non è stato tempo sprecato sorvegliare questo posto per un mese”. Mi sono reso conto che la casa era sotto controllo da un bel po’ di tempo. Dopo circa cinque minuti sono arrivati tre agenti in borghese. Guardandomi sorpreso, uno di loro mi ha detto: “E tu, che ci fai qui? Perché frequenti questa gente?” Quell’uomo si chiamava Liu e la sua sorella minore era stata una mia collaboratrice quando credevo nel Signore Gesù. Con un atteggiamento maligno e minaccioso ha ordinato ai suoi sottoposti di portarmi via. Ho pensato alla paura che avevo provato quando altri fratelli e sorelle erano stati arrestati, spesso sottoposti a ogni tipo di tortura; alcuni di loro erano stati persino pestati a morte. Non sapevo se la polizia mi avrebbe torturato o se addirittura mi avrebbe ucciso, e così ho pregato Dio e Gli ho chiesto di proteggermi e di darmi la fede e la forza per rimanere saldo nella mia testimonianza. Poi ho pensato alle parole del Signore Gesù: “E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto Colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna” (Matteo 10:28). Era proprio così: la polizia aveva solo il potere di uccidermi fisicamente, ma non di privarmi dell’anima. Con la guida delle parole di Dio, mi sono sentito un po’ meno spaventato.
Più tardi mi hanno portato al commissariato di polizia della zona. Fingendosi sincero, l’uomo di nome Liu ha detto ai poliziotti che mi stavano portando dentro: “Non usate troppo le maniere forti con lui. È una persona onesta e ci conosciamo da tanto tempo”. Poi, con sincerità simulata mi ha esortato: “Dicci ciò che sai e basta. Un po’ di pratica religiosa non è poi grave. Se racconti tutto, potrai andare a casa subito. È da più di un anno che non ci vai, giusto? Pensaci bene. Quando sarà il momento, dicci semplicemente quello che vogliamo sapere e ti garantisco che non ti accadrà nulla”. A queste parole, ho avuto un attimo di esitazione e ho pensato: “Visto che ci conosciamo da tempo ed è il capo della squadra investigativa speciale, forse se gli rivelo qualche informazione di poco conto mi guadagnerò la sua fiducia e mi lascerà andare”. Proprio mentre stavo pensando a queste cose, all’improvviso mi sono venute in mente le parole di Dio: “In ogni momento, il Mio popolo dovrebbe restare in guardia contro le scaltre macchinazioni di Satana, […] in modo da evitare di cadere nella trappola di Satana, a quel punto sarebbe troppo tardi per rammaricarsene” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Parole di Dio all’intero universo, Cap. 3”). Allora ho capito di aver rischiato di cadere nel subdolo tranello di Satana. L’agente Liu era una persona furba e ingannevole: come potevo credergli? Voleva solo estorcermi informazioni sulla chiesa e farmi tradire Dio. Giunto a questa conclusione, ho deciso di tenere la bocca chiusa. Poi un altro agente mi ha chiesto: “Dove sei andato a fare opera di evangelizzazione? Con chi ti sei riunito? Chi è il tuo leader? Dove tenete i soldi della chiesa?” Ma per quanto mi mettesse sotto torchio, non ho aperto bocca.
Verso le 3 di pomeriggio dello stesso giorno, sono stato trasferito al centro di detenzione della contea. Una volta arrivato là, un agente mi ha condotto in una stanza, dove mi ha ordinato di spogliarmi completamente, alzare le mani e girare su me stesso. Quando non ho obbedito al suo ultimo ordine, mi ha sferrato un veloce calcio e mi ha ordinato di fare tre profondi piegamenti sulle gambe. Ho provato rabbia e umiliazione. Dopodiché, mi hanno portato in una cella in cui erano ammassati oltre trenta detenuti in meno di 20 metri quadrati. Non appena sono entrato, due di loro mi hanno piegato le braccia dietro la schiena, strattonandomi per tutta la cella, prima di buttarmi a terra con un calcio. Ho sbattuto la fronte contro il pavimento e ho iniziato a sanguinare. I detenuti sono scoppiati a ridere e uno di loro ha detto: “A quanto pare l’aereo non è riuscito a frenare”. E un altro ha aggiunto: “Abbiamo molte cose da insegnarti. Avrai tutto il tempo per imparare”. Tra me e me ho pensato: “Sono appena arrivato e già mi tormentano così. Come riuscirò a sopravvivere qui dentro? Sarò in grado di sopportare tutto questo?” Dentro di me ho pregato Dio, implorandoLo di proteggere il mio cuore in modo che potessi rimanere saldo nella mia testimonianza. È stato allora che ho pensato alle parole di Dio, che dicono: “È estremamente arduo per Dio attuare la Sua opera nella terra del gran dragone rosso, ma è attraverso tale difficoltà che Dio compie una fase della Sua opera, rendendo così manifesta la Sua saggezza e i Suoi meravigliosi atti, e usando quest’opportunità per rendere completo questo gruppo di persone. È proprio per mezzo della sofferenza delle persone, della loro levatura e di tutta l’indole satanica di chi vive in questa terra immonda, che Dio svolge la Sua opera di purificazione e di conquista, in modo che ciò Gli consenta di ottenere la gloria e di guadagnare coloro che testimonieranno i Suoi atti. Questo è l’intero significato di tutti i sacrifici che Dio ha fatto per questo gruppo di persone” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “L’opera di Dio è semplice come l’uomo la immagina?”). Riflettendo su queste parole, mi sono reso conto che Dio stava usando questo ambiente per perfezionare la nostra fede. Era stato con il permesso di Dio che ero stato arrestato e tormentato dalla polizia. Egli sperava che sarei rimasto fermo nella mia testimonianza a Lui per umiliare Satana. Era davvero un onore avere l’opportunità di rendere testimonianza a Dio. Ho ripensato al fatto che il Signore Gesù era stato crocifisso per la redenzione dell’umanità e che, dopo la Sua incarnazione negli ultimi giorni per la nostra salvezza, Dio era stato braccato e perseguitato dal partito al potere, soggetto alla diffamazione e al rifiuto del mondo religioso, soffrendo ogni tipo di avversità e umiliazioni. Malgrado ciò, Dio continua a esprimere la verità e a sostenerci. Cos’era allora la mia insignificante sofferenza rispetto all’opportunità di seguire Dio, perseguire la verità ed essere salvato da Lui? Resomene conto, mi sono sentito un po’ più forte e ho pensato: “Non importa quanto mi tormentino, non devo rivelare le informazioni sulla chiesa né tradire Dio”.
La mattina del quarto giorno, la polizia è tornata a interrogarmi. Mi hanno chiesto un sacco di dettagli sulla chiesa e mi hanno mostrato parecchie foto di persone chiedendomi di identificarle e sostenendo che loro avevano già identificato me. Sapevo che era un altro stratagemma: volevano indurmi con l’inganno a tradire i miei fratelli e le mie sorelle, quindi li ho ignorati. Alla fine, realizzando che non avrei aperto bocca, mi hanno rimandato indietro e mi hanno spostato in un’altra cella. Quando sono entrato, ho sentito il poliziotto dire ai compagni di cella: “Questo qui è un credente. Prendetevi ‘cura’ di lui”. Poi un giovane detenuto, avvicinatosi, ha detto che mi avrebbe “pulito per bene le orecchie”. Lui e un altro mi hanno tirato le orecchie in direzioni opposte. Ho provato a respingerli, ma all’improvviso mi hanno lasciato andare e sono caduto a terra. Proprio quando stavo per rialzarmi, qualcuno mi ha bloccato per le spalle, impedendomi di muovermi. Poi un altro detenuto si è avvicinato dicendo che mi avrebbe “scortecciato come un tronco”. Mi ha arrotolato la gamba del pantalone e poi con una mano ha premuto con forza contro una mia gamba mentre sfregava vigorosamente la pelle dello stinco con l’altra mano coperta di detersivo per il bucato. Strofinava così velocemente che, nel giro di poco tempo, la gamba è diventata rosso vivo e ha iniziato a farmi molto male. L’altro detenuto che mi stava bloccando continuava a torcermi l’orecchio. Mi hanno torturato in quel modo per più di venti minuti. Provavo un forte dolore all’orecchio e lo stinco era pesto e sanguinava. Il giovane mi ha quindi sferrato un forte calcio alla schiena, facendomi barcollare in avanti. Poi me ne ha dato uno nello stomaco, così forte che ho inarcato la schiena per il dolore. Mi sembrava che gli organi interni stessero per spappolarsi. Un altro detenuto, dopo essersi avvicinato, mi ha dato un calcio alla schiena, facendomi sbandare e cadere a terra, dopodiché mi hanno gettato una coperta addosso e hanno cominciato a prendermi a calci e pugni. Il mio corpo era tutto un dolore: avevo un taglio sulla fronte e mi colava il sangue dal naso. Mi hanno cosparso i capelli di detersivo, costringendomi poi a denudarmi e a fare una doccia fredda. Era dicembre e fuori nevicava. L’acqua non era altro che il ghiaccio sciolto della torre idrica ed era gelida. Stavo congelando ed ero scosso da forti brividi. A un certo punto, uno dei detenuti, dopo aver sciolto del detersivo in mezzo bicchiere d’acqua, mi ha detto: “A quanto pare stai congelando. Ti abbiamo tenuto da parte un po’ di ‘birra’. Forza, bevi”. Quando mi sono rifiutato di bere, ha aggiunto: “Cosa? Non ti basta?” versandoci dentro dell’altra acqua fredda. La schiuma del detersivo ha cominciato a traboccare. Vedendo che ancora non mi decidevo a bere, mi ha minacciato: “Se non bevi, come possiamo farti ‘scoppiare i petardi’?” Poi altri due mi hanno bloccato su una branda e mi hanno tappato il naso per costringermi a bere quell’intruglio. Con “scoppiare i petardi” intendevano obbligarmi a bere per poi picchiarmi fino a farmi vomitare. Mi sono ribellato, urlando: “State forse cercando di uccidermi? La legge non esiste in questo posto?” Sentendo le mie urla, una delle guardie ha gridato: “Perché urli tanto? Ti stanno solo facendo una doccia veloce, non ti ucciderà! Se urli ancora, domani ti farò assaggiare il mio sfollagente elettrico!” Quelle parole mi hanno riempito di rabbia. Tremavo per l’acqua ghiacciata e la pelle si stava coprendo di piccole vesciche per il freddo. Proprio mentre stavo allungando una mano per riprendermi i vestiti e mettermeli, un detenuto mi ha sbattuto a terra con un calcio. Con la schiena inarcata per il dolore, ho cercato di rialzarmi, ma sono stato subito bloccato contro il muro da altri due, dopodiché mi si sono avventati contro in tredici e hanno iniziato a picchiarmi come fossi un sacco da boxe. Un detenuto che era stato condannato a morte ha gridato: “OK, ognuno di voi lo colpisca dieci volte”. Poi mi si è messo accanto e ha cominciato a contare mentre gli altri mi battevano. Il supplizio era tale che avevo la schiena inarcata, il dolore al petto e alla pancia era insopportabile e riuscivo a malapena a respirare. Poi un altro detenuto si è avvicinato e mi ha colpito con violenza alla nuca un paio di volte con le manette. Ho provato vertigini e nausea, la stanza ha iniziato a girare, le orecchie hanno cominciato a fischiare e ho vomitato tutto. Alla fine, vomitavo solo un liquido giallastro. Stringendo le mani al petto non osavo fare respiri profondi, perché anche respirare era diventato dolorosissimo. Alla fine, ho cominciato a sputare sangue e mi è sembrato che il corpo andasse in frantumi. Tra me e me ho pensato: “Questi reclusi mi picchieranno a morte e la mia famiglia non sa nemmeno del mio arresto, né fratelli e sorelle sanno dove sono stato portato. Se davvero mi uccidono e la polizia abbandona il mio corpo in mezzo al nulla, nessuno saprà mai cos’è successo”. Rendendomi conto di ciò, in preda a un profondo sconforto e a un’estrema debolezza, ho rivolto una preghiera a Dio: “Oh Dio! Non posso resistere ancora a lungo. Se continuano a torturarmi così, morirò. Chiedo la Tua protezione, affinché possa sopportare questo dolore e questo tormento”. È stato allora che ho pensato alle parole di Dio, che dicono: “Abramo ha offerto in sacrificio Isacco. Cosa avete offerto voi? Giobbe ha offerto tutto in sacrificio. Cosa avete offerto voi? In tantissimi hanno dato la vita, posato il capo e versato sangue al fine di cercare la vera via. Voi avete pagato quel prezzo?” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Il significato di salvare i discendenti di Moab”). Di fronte a quelle domande, ho provato vergogna. Ho pensato ai santi nel corso dei secoli. Poiché diffondevano il Vangelo e rendevano testimonianza a Dio, alcuni di loro sono stati lapidati a morte o fatti a pezzi, mentre altri sono stati addirittura trascinati dai cavalli fino alla morte. Hanno sacrificato le loro preziose vite per restare saldi nella loro testimonianza a Dio. Ma dopo essere stato arrestato, picchiato, torturato e minacciato di morte, mi ero indebolito, ero diventato pessimista e mi ero aggrappato vigliaccamente alla vita per paura della morte. Quanto ero stato codardo! Ho pensato a quanto fosse inconcepibile da parte mia non riuscire a rimanere saldo nella mia testimonianza a Dio in quel momento cruciale, nonostante avessi goduto così tanto del vivificante nutrimento delle parole di Dio. Mi sono sentito profondamente sotto accusa e ho giurato a me stesso di non cedere mai a Satana, indipendentemente dal tormento che mi attendeva. Solo quando si sono accorti che giacevo immobile a terra, i compagni di cella mi hanno lasciato in pace.
Dopo circa una settimana, l’agente Liu è tornato a interrogarmi. Adottando un tono di sincerità simulata, mi ha detto: “Vecchio mio, abbiamo esaminato la tua fedina penale: non hai precedenti di comportamenti illeciti. I tuoi genitori non stanno di certo ringiovanendo e tuo figlio sta reclamando la tua presenza. Tutti sperano in un tuo ritorno a casa per le festività di Capodanno. Pensaci ancora un po’. Se ci dici quello che vogliamo sapere sulla chiesa, ti libereremo subito”. Quando ha capito che non avrei risposto, ha cambiato tattica: “Sai, anche se non ci dici nulla, possiamo comunque condannarti a 3-5 anni. Devi renderti conto che la situazione è questa: non fare il testardo”. Quando ho continuato a ignorarlo, mi ha rimandato in cella affinché riflettessi sulla sua offerta. Una volta in cella, ho pensato all’età di mia madre e alla sua salute malferma. Se fossi stato davvero condannato a 3-5 anni e addirittura fossi morto lì, chi si sarebbe preso cura di lei? Più ci pensavo e peggio mi sentivo. Alla fine, ho cominciato a pensare che forse avrei potuto rivelare qualche informazione irrilevante grazie alla quale avrei potuto evitare la prigione. È stato allora che ho pensato alle parole di Dio, che dicono: “Non avrò più alcuna pietà per coloro che non Mi hanno mostrato la minima lealtà durante il tempo della tribolazione, poiché la Mia pietà giunge solo fino a questo punto. Inoltre, non provo alcuna simpatia per chi un tempo Mi ha tradito, e meno ancora Mi piace associarMi a coloro che svendono l’interesse dei loro amici. Questa è la Mia indole, indipendentemente da quale persona si tratti” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Prepara sufficienti buone azioni per la tua destinazione”). Riflettendo su queste parole, ho capito che l’indole giusta di Dio non tollera offese. Egli detesta nel modo più assoluto chi si comporta da Giuda, svende la chiesa e Lo tradisce; Dio non perdonerebbe mai persone simili. Era evidente che l’agente Liu era un uomo subdolo e astuto e che se avessi rivelato anche solo una minima informazione, avrebbe trovato il modo per farmene rivelare anche di più. A dire la verità, avevo creduto alle sue parole diaboliche. Che stupido ero stato! Poiché ero preoccupato per la mia famiglia, avevo pensato di tradire Dio. Ho capito che la mia fede in Dio era davvero debole. Il nostro destino è nelle mani di Dio. Dio avrebbe avuto l’ultima parola sull’opportunità che fossi o meno torturato a morte e su ciò che sarebbe accaduto alla mia famiglia. Avrei dovuto affidare tutto nelle mani di Dio e confidare in Lui per superare quella prova. Quando mi sono sentito pronto a sottomettermi, i detenuti della cella 8 hanno smesso di malmenarmi. Visto il cambiamento del loro atteggiamento nei miei confronti, gli agenti mi hanno trasferito nella cella 10.
Là i detenuti mi hanno picchiato proprio come avevano fatto quelli della cella 8. Prima che avessi la possibilità di reagire, mi hanno avvolto in una coperta e hanno iniziato a prendermi a pugni e a calci. Chiamavano quel gioco “fare i ravioli”. Ogni volta che erano di cattivo umore, se la prendevano con me. Ho sofferto molto e mi sono sentito oppresso in quell’ambiente. Era difficilissimo per me superare ogni giornata e per questo ho pregato Dio, chiedendoGli di guidarmi e di darmi fede. Una settimana dopo, un detenuto condannato a morte mi ha detto: “Parlami della tua fede nel Signore e canta i tuoi inni per me. Se non fai come ti dico, ti colpisco in testa con queste manette. Non azzardarti a non obbedire, ora non devi fare altro che parlare e cantare”. Così ho cantato la prima cosa che mi è venuta in mente e, senza nemmeno pensarci, ho cominciato con un inno delle parole di Dio, “Avete mai percepito le speranze che Dio ha per voi?”: “Chi fra voi è Giobbe? Chi è Pietro? Perché ho menzionato ripetutamente Giobbe? Perché ho citato tante volte Pietro? Avete mai constatato quali fossero le Mie speranze per voi? Dovreste dedicare più tempo a riflettere su queste cose” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Parole di Dio all’intero universo, Cap. 8”). Mentre cantavo, ho provato una forte emozione. Ho pensato a Giobbe, che ha continuato a lodare il nome di Dio anche dopo aver perso tutti i suoi beni e con tutto il corpo coperto di piaghe. Ho pensato a Pietro, che ha trascorso tutta la vita alla ricerca dell’amore verso Dio, subendo innumerevoli prove e difficoltà, fino a essere crocifisso a testa in giù. Ha amato Dio con tutte le forze e si è sottomesso a Lui fino alla morte. Entrambi hanno reso una bellissima testimonianza a Dio e hanno ricevuto la Sua lode. Dio dice: “Chi fra voi è Giobbe? Chi è Pietro?” Dalle parole di Dio, ho capito cosa Egli si aspettasse da me. Ho pensato: “Devo essere come Giobbe e Pietro e rendere testimonianza a Dio”. Cantare quell’inno ha rinforzato le mie motivazioni. Mi pareva che Dio fosse al mio fianco e ho sentito una rinnovata determinazione a sopportare tutte le sofferenze e rimanere saldo nella mia testimonianza. Quando ho finito di cantare, ho raccontato al detenuto di come Dio governa su tutto, come punisce coloro che fanno il male e premia chi fa il bene, dando testimonianza dell’indole giusta di Dio. Gli ho anche raccontato la storia di Lazzaro e dell’uomo ricco. Gli ho detto che chi fa del male viene punito e gettato all’inferno per ricevere la punizione dopo la morte. Gli ho detto che Dio è già venuto per esprimere la verità e compiere l’opera di salvezza dell’umanità e che le persone devono accettare la verità per liberarsi dal peccato ed essere purificate per entrare nel Regno dei Cieli. Dopo aver sentito le mie parole, il detenuto ha detto sospirando: “Adesso è troppo tardi! Se avessi incontrato qualcuno come te prima, non sarei mai arrivato a questo punto”. Anche un altro compagno di cella, un insegnante in pensione, ha aggiunto con approvazione: “Mi è già capitato di incontrare credenti come te. Non ho mai sentito dire che facessero qualcosa di illegale”. Ha poi osservato con rabbia: “In Cina non esiste giustizia né stato di diritto”. Tutti i detenuti di quella cella hanno quindi smesso di picchiarmi. Sapevo che era un segno della misericordia di Dio: Egli aveva avuto pietà della mia debolezza. Vedendo l’onnipotenza e la sovranità di Dio in azione, la mia fede è diventata più forte.
Nel dicembre del 2004, il Partito Comunista Cinese mi ha condannato per “proselitismo illegale e arrecato disturbo all’ordine sociale” a tre anni di rieducazione attraverso il lavoro. Quando mi è stata letta la sentenza ero furioso: come credente, stavo percorrendo la strada giusta e non avevo mai fatto nulla di illegale; nonostante ciò, il partito mi aveva comminato una condanna a tre anni. Una cattiveria per eccellenza! Più tardi, mi è venuto in mente un passaggio della parola di Dio: “In una società di tenebra come questa, dove i demoni sono spietati e disumani, come potrebbe il re dei demoni, che uccide gli uomini senza battere ciglio, tollerare l’esistenza di un Dio che è adorabile, gentile e anche santo? Come potrebbe applaudire e festeggiare l’avvento di Dio? Sono dei leccapiedi! Ripagano la gentilezza con l’odio, da lungo tempo hanno iniziato a trattare Dio come un nemico, Lo offendono, sono feroci oltre ogni limite, non hanno il minimo riguardo per Dio, devastano e saccheggiano, hanno perso del tutto la coscienza, contrastano ogni forma di coscienza e con la tentazione inducono gli innocenti all’insensatezza. Antenati dei tempi antichi? Amati condottieri? Si oppongono tutti a Dio! La loro intromissione ha lasciato tutto ciò che è sotto il cielo in uno stato di tenebra e caos! Libertà religiosa? I diritti e interessi legittimi dei cittadini? Sono tutti trucchi per coprire il peccato!” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Lavoro e ingresso (8)”). Il partito afferma di promuovere la libertà religiosa mentre invece reprime e perseguita di nascosto i cristiani, picchiando, torturando e imprigionando chiunque creda in Dio. Cercano la notorietà con l’inganno e sono malvagi nel profondo! Avendo sperimentato l’arresto e la persecuzione da parte del partito sulla mia pelle, ero riuscito a riconoscere la loro essenza demoniaca e resistente a Dio. Ciò ha rafforzato ancora di più la mia determinazione a seguire Dio fino in fondo.
Nel gennaio del 2005, sono stato trasferito in un campo di lavoro e assegnato alla tipografia. Dovevamo lavorare circa 15 ore al giorno, spesso con solo più o meno 3-4 ore di riposo. Ogni mese dovevamo fare gli straordinari per 10-15 giorni e a volte dovevamo lavorare anche tutta la notte. Col passare del tempo, la nostra quota di produzione è passata da 3.000 a oltre 15.000 pagine. Per questo motivo, dovevo portare i cliché di stampa avanti e indietro, spesso percorrendo dai 10 a varie decine di chilometri al giorno. Tenevo le vernici nella mano sinistra mentre continuavo a spennellare con la mano destra. L’odore delle vernici mi stordiva, gli occhi mi bruciavano, la vista mi si annebbiava e il respiro si faceva affannoso. Durante tutto il giorno, sopportavo un dolore costante e insopportabile alle braccia, alle gambe e alle spalle ed ero così stanco che avrei potuto addormentarmi in piedi. Ricordo che una volta, avendo un forte raffreddore e la febbre, mi sono sentito così stordito che sono quasi svenuto. Quando il supervisore di turno mi ha visto, ha insinuato che stavo solo cercando di battere la fiacca e ha detto: “Vedrai che ti darai una mossa quando assaggerai il mio sfollagente elettrico”. Ho pensato a un diciassettenne che era stato punito per non essere riuscito a sostenere quei ritmi forzati. Aveva subìto diverse ustioni alle orecchie e la sua pelle si era annerita in più punti in seguito ad altre ustioni. Alla fine, non ce l’aveva più fatta, aveva cercato di uccidersi ingerendo dei chiodi, ma non era morto ed era stato condannato a un mese di lavoro forzato in più. Sapevo che quella gente era diabolica, ci avrebbe ucciso senza battere ciglio e non ci avrebbe mai lasciato riposare, quindi dovevo solo stringere i denti e resistere. A causa dell’eccessivo carico di lavoro, le dita mi si erano deformate e sui gomiti erano apparse delle cisti che si erano gonfiate fino a diventare grosse come tuorli d’uovo. Soffrivo anche di una grave rinite; spesso mi sentivo stordito e senza fiato. La combinazione di superlavoro e mancanza di sonno mi lasciava così frastornato che vacillavo e tremavo quando camminavo, come se fossi stato sul punto di cadere da un momento all’altro. Oltre al lavoro, eravamo anche costretti a partecipare a sessioni di lavaggio del cervello sponsorizzate dal partito due volte al mese. Trovavo ripugnanti le errate credenze e le idee eretiche del partito e non avevo nessuna voglia di ascoltare. Ho sofferto molto in quel campo di lavoro e sentivo molto la mancanza dei giorni in cui andavo alle riunioni e leggevo la parola di Dio con i miei fratelli e le mie sorelle. Volevo andarmene da quell’inferno disumano il prima possibile. Ho pregato Dio e Gli ho chiesto di darmi la forza e di aiutarmi ad avere la meglio su quell’ambiente. Più tardi, mi è venuto in mente un inno delle parole di Dio dal titolo, “Come essere perfezionati”: “Quando affronti la sofferenza, devi essere in grado di mettere da parte la preoccupazione per la carne e di non esprimere lamentele verso Dio. Quando Dio Si nasconde a te, devi essere capace di avere la fede di seguirLo, di conservare il tuo amore di prima senza lasciare che vacilli o si estingua. Qualunque cosa Dio faccia, devi sottometterti al Suo disegno ed essere più disposto a maledire la tua carne che a lamentarti di Lui. Nell’affrontare le prove devi soddisfare Dio, per quanto tu possa piangere amaramente o sia riluttante a separarti da un oggetto amato. Solo questo è vero amore e fede autentica” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Coloro che devono essere resi perfetti devono essere sottoposti a raffinamento”). Mentre cantavo, sono riuscito a comprendere l’intenzione di Dio e nel profondo mi sono sentito incoraggiato e desideroso di sottomettermi a quella difficile situazione e fare affidamento su Dio e sulla mia fede per superare quelle prove. Durante i miei oltre due anni di prigionia, ho sofferto di rinite, bronchite e artrite reumatoide, e mi sono venuti un’ernia e problemi allo stomaco. Una volta, quando l’ernia ha cominciato a farmi molto male, un ufficiale del campo mi ha portato in infermeria, dove ho visto il medico di turno rompere un ago nella natica di un prigioniero e poi usare una pinza emostatica per estrarlo. Quella scena mi ha inorridito e non ho più osato tornarci. In quel periodo, non riuscivo a fare più di pochi passi senza che il dolore mi lacerasse il basso ventre. Quando cercavo di andare avanti e di lavorare un po’, mi sembrava di soffocare. Gli agenti di custodia temevano di essere ritenuti responsabili della mia morte e quindi mi hanno portato all’ospedale della città in cui si trovava il campo per una visita medica più approfondita. Dopo aver completato gli esami, il medico ha detto con aria sorpresa: “Che tipo di manodopera stai offrendo? Come mai hai aspettato così tanto per farti visitare? L’ernia richiederà un intervento chirurgico. Inoltre, sia il fegato che la cistifellea sono ingrossati, quindi non sei più adatto per questo tipo di lavoro. Se continui a farlo, morirai”. Tuttavia, le guardie hanno solo preso delle medicine per me e mi hanno riportato al campo. Ero molto preoccupato, perché sapevo di dover scontare ancora un anno e non ero sicuro di farcela. Poi ho pensato: “In due anni di prigionia, la polizia mi ha tormentato e sono stato picchiato quasi a morte dai compagni di cella. Nonostante tutte le mie sofferenze, non ho mai tradito Dio. Come ho fatto a sviluppare una malattia così grave? Che sia davvero il mio destino morire in questo posto?” Nel pieno della sofferenza, ho pregato Dio: “Oh Dio! Cosa devo fare adesso? Ti supplico, guidami”. Più tardi, mi è venuto in mente un passaggio della parola di Dio: “Dovresti sapere se c’è vera fede e vera lealtà dentro di te, se hai un passato di sofferenza per Dio e se ti sei sottomesso completamente a Lui. Se manchi di questo, allora dentro di te permangono ribellione, inganno, cupidigia e protesta. Poiché il tuo cuore è lontano dall’essere onesto, non hai mai ricevuto un riconoscimento positivo da parte di Dio e non hai mai vissuto nella luce” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Tre ammonimenti”). Mentre meditavo sulle parole di Dio, riflettevo su me stesso. Di fronte alla malattia e al dolore, ero diventato pessimista e debole e avevo persino cercato di litigare con Dio. Avevo abbandonato il mio giuramento, mi lamentavo e mi ribellavo. Dov’era la mia sottomissione? Dov’era la mia testimonianza? Mi sono ricordato che quando ero perseguitato e torturato dal partito ed ero dolorante e debole, erano state le parole di Dio a guidarmi e a darmi fede e forza. Dio aveva anche operato attraverso persone, situazioni e cose per farmi intravedere una strada. Era sempre al mio fianco, si prendeva cura di me e mi proteggeva. Il Suo amore per me era così grande e sapevo che dovevo smettere di fraintenderLo e di lamentarmi. Non mi importava delle possibili torture o sofferenze, non mi importava di vivere o morire, dovevo solo fare affidamento su Dio per continuare ad andare avanti! Un mese dopo, la polizia mi ha assegnato un altro lavoro, in cui non dovevo camminare come nel precedente, e la mia salute è notevolmente migliorata. Ho ringraziato Dio per il Suo amore dal profondo del mio cuore.
Mentre ero nel campo di lavoro, spesso cantavo in silenzio degli inni tra me e me. L’inno che ha avuto un profondo impatto su di me è intitolato: “Cosa avete offerto voi a Dio?” Ecco cosa dice: “Abramo ha offerto in sacrificio Isacco. Cosa avete offerto voi? Giobbe ha offerto tutto in sacrificio. Cosa avete offerto voi? In tantissimi hanno dato la vita, posato il capo e versato sangue al fine di cercare la vera via. Voi avete pagato quel prezzo? Al confronto, non avete affatto titolo per godere di tanta grazia. Non sopravvalutatevi. Non avete niente di cui vantarvi. Una così grande salvezza, una così grande grazia vi vengono concesse gratuitamente. Non avete sacrificato nulla eppure godete liberamente della grazia. Non provate vergogna?” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Il significato di salvare i discendenti di Moab”). Ogni volta che finivo di cantarlo, mi sentivo pieno di gratitudine. Le mie peripezie non erano nulla in confronto a ciò che hanno patito i santi nel corso dei secoli. Sperimentando l’opera di Dio, tutti loro Gli hanno reso una bellissima testimonianza e hanno ottenuto la Sua approvazione. Dio mi stava dando un’opportunità simile per testimoniare: questo era il Suo amore per me! Sono state le parole di Dio che mi hanno sempre incoraggiato e guidato durante la lunga e difficile prigionia. Non avrei mai potuto farcela senza la guida delle parole di Dio in circostanze così terribili.
Nel settembre del 2007, ho finito di scontare la pena e sono stato rimesso in libertà. Mentre mi rilasciavano, mi hanno ordinato di presentarmi al commissariato di polizia locale una volta tornato a casa. Se non lo avessi fatto, il mio certificato di residenza sarebbe stato annullato. Mi hanno anche minacciato, dicendo che se fossi stato arrestato di nuovo, la condanna sarebbe stata molto più pesante. Dopo il mio rilascio, mi sono allontanato da casa, in modo da poter continuare a credere in Dio e svolgere il mio dovere. Essendo stato arrestato e perseguitato dal partito, ho riconosciuto con chiarezza la sua essenza demoniaca resistente a Dio. Più venivo perseguitato, più ero deciso a seguire Dio, a adempiere alla mia responsabilità di essere una Sua creatura e a fare bene il mio dovere per ripagare il Suo amore. Sia lodato Dio!
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