Una vita in bilico

12 Febbraio 2024

di Wang Fang, Cina

Nel 2008, ero responsabile del trasporto di libri della chiesa. In un Paese dove vi è libertà religiosa, è un compito banale, ma in Cina è davvero pericoloso. Secondo le leggi del Partito Comunista, chiunque venga colto a trasportare letteratura religiosa può essere condannato a 7 anni o più. Per questo motivo, io e gli altri fratelli e sorelle eravamo estremamente cauti nello svolgimento del nostro dovere. Ma il 26 agosto, mentre camminavo per la strada, all’improvviso sono stata circondata da varie auto della polizia e gli agenti mi hanno spinta in una di queste. Ero davvero nervosa. Ho pensato a una sorella che era stata arrestata per lo stesso motivo: le erano stati inflitti 10 anni. Sarei stata condannata anch’io a 10 anni? Se davvero avessi trascorso tutto quel tempo in carcere, sarei riuscita anche solo a venirne fuori viva? Al pensiero mi si è stretto il cuore, e mi sono affrettata a invocare Dio: “O Dio! Non so come i poliziotti mi tortureranno. Ti prego di proteggermi e di darmi fede e forza”. Dopo la preghiera, ho pensato a queste parole di Dio: “Non dovresti avere paura di questo e di quello. Per quante difficoltà e pericoli ti si presentino, sei in grado di rimanere saldo dinanzi a Me, senza impedimenti, in modo che la Mia volontà si compia indisturbata. È questo il tuo dovere, […]. Adesso è il momento di metterti alla prova: Mi offrirai la tua fedeltà? Puoi seguirMi fedelmente fino in fondo? Non avere paura: con il Mio sostegno, chi potrebbe mai sbarrare la strada?(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Discorsi di Cristo al principio, Cap. 10”). Queste parole mi hanno ridato fede e coraggio. Dio è il Sovrano di tutte le cose e l’intero universo è nelle Sue mani. E allora non sono forse nelle Sue mani anche i poliziotti? Senza il permesso di Dio, non potevano torcermi un capello. Dio usa la repressione e le sofferenze per perfezionare la mia fede, perciò dovevo pregare, affidarmi a Lui e renderGli testimonianza. Anche se fossi stata condannata a 10 anni, ero decisa a non vendere mai i miei fratelli e sorelle e a non tradire mai Dio.

I poliziotti mi hanno condotta in un edificio di due piani situato fuori città. Un agente alto e tarchiato, di mezza età, con in mano una bottiglia di acqua fredda, mi si è avvicinato con uno sguardo spaventoso in volto e picchiando sul tavolo ha urlato: “Come ti chiami? Qual è il tuo ruolo nella chiesa? Con chi sei in contatto? Chi è il leader della tua chiesa?” Poiché non dicevo niente, ha sollevato la bottiglia e me l’ha sbattuta in testa, stordendomi. Ha continuato a interrogarmi, usando espressioni scurrili di ogni genere. Io tenevo la testa bassa e pregavo senza fornirgli alcuna risposta. Poi mi ha sbattuto la bottiglia sulla fronte: per un attimo ho avuto la vista annebbiata e mi è sembrato che mi si lacerasse il cranio. Mi ha fatto tanto male da farmi lacrimare. Poi ha urlato ferocemente: “Se non parli sarai torturata, e se continui a non parlare non pensare nemmeno di uscirne viva!” Avevo davvero paura. Pensavo che se avesse continuato a colpirmi così, anche se non mi avesse fratturato il cranio, sicuramente avrei riportato una commozione cerebrale. Mi domandavo se sarei morta per le percosse. Subito ho invocato Dio chiedendo la Sua protezione, e ho deciso che, per quanto fossi stata picchiata, non avrei mai tradito Dio, non sarei mai stata un giuda. In quel momento è squillato il telefono cellulare del poliziotto e lui, dopo avere risposto, se n’è andato. Un altro agente mi ha infilato un sacco di tela sulla testa, lo ha legato stretto con una cordicella e poi mi ha trascinata in una stanza vuota. Sotto il sacco sentivo un caldo umido. Non so quanto tempo sia passato prima che mi conducessero al secondo piano. Un capodivisione del Dipartimento Provinciale di Pubblica Sicurezza, di cognome Gong, mi ha minacciata digrignando i denti: “Potremmo darti 10 anni solo perché credi in Dio Onnipotente. Dicci subito tutto quello che sai, altrimenti nessuno potrà salvarti!” Ha detto inoltre che avrebbe fatto in modo che il mio datore di lavoro mi sospendesse lo stipendio. Poiché continuavo a non parlare, ha detto a qualcun altro di andare a cercare i miei eventuali precedenti penali. La cosa mi ha messa in grande agitazione, perché nel 2003 ero stata arrestata per avere diffuso il Vangelo ed ero stata incarcerata per cinque mesi. Se avessero trovato la mia fedina penale, di sicuro avrei avuto una condanna più severa. Alla fine non hanno trovato niente: sapevo che questa era la protezione offertami da Dio. In silenzio, Gli ho reso grazie. Poco dopo la mezzanotte, i poliziotti mi hanno condotta a un centro di detenzione, dove una guardia carceraria ha ordinato ad alcune detenute di spogliarmi nuda, mi ha fatto tenere le braccia dritte in avanti e fare tre piegamenti sulle gambe. Inoltre, hanno gettato fuori dalla cella tutti i miei vestiti e, quando ho visto che stavano per gettare fuori anche la mia biancheria intima, mi sono affrettata a strappargliela di mano e a rimettermela addosso. Accovacciata lì, svestita, guardando le quattro telecamere di sorveglianza sulla parete, mi sono sentita enormemente umiliata. La mattina dopo, quando tutte le detenute si sono alzate, non ho potuto fare altro che avvolgermi attorno al corpo una coperta. Poi, una detenuta mi ha lanciato degli indumenti e ha sussurrato: “Mettiteli, veloce”. Un’altra mi ha prestato un paio di pantaloni. Sapevo che aveva disposto tutto Dio: Gli ero davvero grata. Più tardi, quella mattina, una guardia ha ributtato nella cella i miei abiti, ma quando li ho esaminati ho visto che le cerniere e i bottoni dei pantaloni e degli altri indumenti erano stati tagliati via, così dovevo tenere su i pantaloni con una mano e tenere chiuso il davanti con l’altra, camminando piegata in avanti. Vedendomi così, le altre detenute mi hanno canzonata e mi hanno ordinato di fare delle cose, e alcune mi hanno intenzionalmente tirato giù i pantaloni, prendendomi in giro in tutti i modi. Quel giorno sono riuscita ad andare avanti solo grazie alla preghiera.

A mezzogiorno del terzo giorno, sono arrivati i poliziotti per riprendere a interrogarmi. Mi hanno condotta in una stanza vuota poco illuminata, dove sulla parete ho visto uno strumento di tortura di ferro, tutto circondato da scure macchie di sangue. Era sinistro e terrificante. Mi hanno ammanettata con le mani dietro la schiena, poi un certo capitano Yang della Brigata di Sicurezza Nazionale e alcuni agenti della polizia giudiziaria mi hanno circondata, rivolgendomi uno sguardo feroce come lupi famelici. Il capitano Yang aveva delle foto di altre sorelle che io dovevo identificare e mi ha chiesto dove venisse tenuto il denaro della chiesa. Inoltre, mi ha minacciata brutalmente: “Vuota il sacco! Se non parli, ti ammazziamo di botte!” Ho pensato che, se anche l’avessero fatto, non sarei comunque diventata un giuda. Un altro poliziotto grassoccio ha detto: “Ti conviene parlare oggi! Altrimenti, ti avverto, il mio pugno predilige la carne. All’accademia di polizia ho studiato per quattro anni pugilato e ho un addestramento speciale in una tecnica che si chiama ‘roteare il martello’. Consiste nel colpirti un punto particolare sulla spalla e con un unico pugno ti si frantumano tutte le ossa e i visceri. Col mio pugno, non esiste nessuno che non confessi”. Parlando, si faceva sempre più compiaciuto di sé. Poi, il capitano Yang ha estratto dalla borsa un documento ufficiale, su carta intestata rossa, me l’ha agitato davanti al viso e ha detto: “Questo è un documento confidenziale emesso dal Comitato Centrale specificamente riguardo alla Chiesa di Dio Onnipotente. Quando vi catturiamo, siamo autorizzati a ridurvi in fin di vita, non importa a nessuno se morite! Dopo avervi ammazzati di botte, gettiamo i corpi tra le montagne e non lo viene a sapere mai nessuno. Disponiamo di strumenti di tortura di ogni genere per trattare i credenti come te. C’è una sorta di frusta metallica che si può immergere in acqua gelata, e ogni volta che si frusta qualcuno viene via una fettina di carne. Alla fine, a quella persona si vedono le ossa”. All’udire tutte queste cose orribili mi si stringeva il cuore per la paura, e in testa avevo il pensiero ricorrente che, se avessero usato su di me questi strumenti di tortura, probabilmente mi avrebbero uccisa. E se avessero gettato il mio corpo in montagna sarei stata divorata dai cani randagi. Che tragedia sarebbe stata! Terrorizzata, ho subito invocato Dio: “Dio, ho tanta paura che i poliziotti mi torturino con questi strumenti. La mia fede non è abbastanza forte: Ti prego di proteggermi e di darmi fede e coraggio, affinché, qualunque cosa mi facciano, anche se mi costerà la vita, io possa rendere testimonianza”. Vedendo che non parlavo, il capitano Yang ha alzato le braccia verso la mia testa e mi ha colpita una decina di volte, a destra e a sinistra. Non riuscivo nemmeno a stare in piedi. Ho chiuso forte gli occhi e mi sono scese delle lacrime sul volto. Quello alla mia sinistra che aveva detto di voler “roteare il martello” contro di me mi ha colpita con tutte le sue forze su un punto della spalla. Per un attimo mi è sembrato che mi si fossero spezzate tutte le ossa, e lui ha continuato a colpirmi contando. L’agente alla mia destra mi ha dato un calcio alla rotula destra e io sono caduta a terra. Mi hanno urlato di alzarmi in piedi. Ammanettata dietro la schiena, mi sono rialzata con difficoltà, malgrado il dolore. Mi hanno di nuovo fatta cadere a calci. L’agente del “martello” ha continuato a colpirmi ripetutamente alla spalla, domandandomi di continuo: “Con chi sei in contatto? Dove sono i soldi della chiesa? Dimmelo subito, altrimenti sarà la tua fine!” Furiosa, ho domandato loro: “Quale legge ho violato, perché mi picchiate così? La costituzione non dice forse che abbiamo libertà di culto?” Il capitano ha detto ferocemente: “Basta così! Se non vuoi morire qui, vuota il sacco! Dove sono i soldi della chiesa? Noi vogliamo i soldi. Ti ammazziamo di botte oggi stesso se non ce lo dici!” Parlando così, mi colpiva ripetutamente sulla testa, e ogni pugno era più duro del precedente. Mi hanno più volte gettata a terra a calci e pugni e ogni volta mi ordinavano di rialzarmi. Non so per quanto tempo mi abbiano picchiata. Sentivo soltanto ronzarmi la testa e le orecchie e non riuscivo ad aprire gli occhi, che mi sembrava stessero per uscirmi dalle orbite. Avevo il viso tanto gonfio che era ormai insensibile, e mi colava sangue dagli angoli della bocca. Mi sembrava che il cuore mi fuoriuscisse dal petto, e le scapole parevano polverizzate. Sono caduta immobile a terra e mi doleva tutto il corpo, come se fosse stato interamente ridotto in pezzi. Invocavo senza sosta la protezione di Dio e nella testa avevo un unico pensiero: anche se muoio, non sarò un giuda!

Vedendo che non dicevo una parola, il capitano ha provato con la persuasione: “Ti poniamo queste domande, ma in realtà conosciamo già le risposte. Stiamo solo verificando. Qualcun altro ti ha già venduta, perciò vale forse la pena finire in galera per lui? Alla tua età, perché subire tutte queste sofferenze? È davvero necessario? È solo una religione, giusto? Dicci quello che sai e ti lasciamo andare subito. Così ti risparmierai tante sofferenze”. Poi hanno detto delle cose blasfeme. Udire le loro parole sporche e vedere lo sguardo feroce sui loro volti mi faceva infuriare. Per arrestare altri fratelli e sorelle e sequestrare i soldi della chiesa, hanno cambiato tattica per allettarmi. Erano davvero subdoli e ignobili! Che qualcun altro mi avesse tradita o no, io avrei tenuto duro e per nessuna ragione avrei tradito Dio o gli altri fratelli e sorelle. Poi, per minacciarmi, il capitano ha tirato in ballo mia figlia. Guardandomi con un sorriso falso, ha detto: “Tua figlia non è forse a Pechino? Potremmo arrestarla e poi torturarla proprio davanti a te. Se non parli, vi getteremo tutte e due in un carcere maschile dove quei tizi vi violenteranno a morte. Potrei farlo con uno schiocco delle dita, e io faccio quello che dico”. Sapevo che il Partito Comunista è capace di tutto e non mi spaventava morire per le percosse, ma non sopportavo il pensiero di essere gettata con mia figlia in un carcere maschile. Avrei preferito essere picchiata a morte anziché subire una simile umiliazione. Era un pensiero che mi terrorizzava, perciò ho subito invocato Dio: “Dio, Ti prego di proteggere il mio cuore; per quanto possano torturarmi e umiliarmi, non devo essere un giuda”. Finito di pregare, ho pensato a Daniele gettato nella fossa dei leoni. I leoni non divorarono Daniele perché Dio non consentì loro di fargli del male. Dovevo avere fede in Dio. Anche quei malvagi poliziotti erano nelle mani di Dio, perciò non avrebbero potuto farmi niente se Dio non l’avesse permesso. Poiché continuavo a non parlare, uno di loro mi ha urlato, fremente di collera: “Ti ammazziamo di botte oggi stesso se non parli!” Così dicendo, è indietreggiato di un paio di passi, ha serrato il pugno, si è scagliato contro di me con una luce feroce negli occhi e mi ha sferrato un pugno in pieno petto. Sono caduta a capofitto a terra e per un po’ non sono riuscita a respirare. Mi sembrava che mi fossero stati frantumati tutti i visceri e le ossa e che mi fosse stato strappato via il cuore con le pinze. Non osavo respirare a fondo per via del dolore. Avevo la testa contro il suolo e sudavo dappertutto. Volevo urlare ma non ci riuscivo: mi sembrava che qualcosa mi ostruisse la gola. Volevo piangere, ma le lacrime non uscivano. In quel momento, ho pensato che sarebbe stato meglio morire. Ero indebolita, sentivo di aver ormai raggiunto il mio limite fisico, e ho pensato che se avessero continuato a picchiarmi così sarebbe stato meglio morire e farla finita. Allora avrebbero smesso di interrogarmi e torturarmi e io sarei stata libera. Ho valutato se dire loro qualcosa di banale, ma sapevo che se avessi dato loro un dito avrebbero preteso il braccio e avrebbero cominciato a interrogarmi con ferocia ancora maggiore. No: in nessun caso potevo tradire fratelli e sorelle e far subire loro quel genere di tortura. In silenzio, ho invocato la protezione di Dio. In quel momento, mi è venuto in mente con grande chiarezza un brano delle parole di Dio: “Non avrò più alcuna pietà per coloro che non Mi hanno mostrato la minima lealtà durante il tempo della tribolazione, poiché la Mia pietà giunge solo fino a questo punto. Inoltre, non provo alcuna simpatia per chi un tempo Mi ha tradito, e meno ancora Mi piace associarMi a coloro che svendono l’interesse dei loro amici. Questa è la Mia indole, indipendentemente da quale persona si tratti(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Prepara sufficienti buone azioni per la tua destinazione”). Le parole di Dio mi hanno rammentato proprio nel momento opportuno che la Sua indole giusta non tollera offesa da parte dell’uomo. Dio detesta, odia chi Lo tradisce, e una simile persona subirà una punizione eterna, nell’anima e nel corpo. In tutti i miei anni di fede, avevo goduto di tanto amore da parte di Dio e del nutrimento offerto dalle Sue parole: adesso che era per me il momento di testimoniarLo, non sarebbe stato irragionevole da parte mia tradirLo per aggrapparmi avidamente alla vita? Non sarei stata degna di essere definita umana! Così ho giurato che, anche se per questo fossi morta, non sarei diventata un giuda. Non avrei tradito Dio; al contrario, avrei senza ombra di dubbio reso testimonianza!

Proprio in quel momento, il terribile capitano mi ha dato un calcio gridando: “Alzati! Non fingerti la morta, maledizione!” Ma io non avevo la forza per tirarmi su. Un paio di agenti mi hanno sollevata. Ero stordita, avevo la mente vuota e la testa che mi ronzava; il petto mi doleva tanto che avevo paura a respirare, e vedevo doppio. Continuavano a martellarmi di domande. Un’ondata di collera mi ha assalita e ho raccolto tutte le mie forze per dire: “Allora morirò! Ammazzatemi di botte, dunque!” Si sono zittiti per lo stupore; ognuno di loro mi fissava con lo sguardo vuoto. Sapevo che quell’ondata di forza e coraggio mi era stata data da Dio, e nel cuore Gli ho reso grazie. In origine, progettavano di interrogarmi facendo uso a turno della tortura, ma a un certo momento, dopo le 17, hanno ricevuto una telefonata dal Dipartimento Provinciale di Pubblica Sicurezza in cui venivano convocati a fare rapporto sui risultati dell’interrogatorio, perciò lo hanno interrotto. Appoggiata al muro, sedevo paralizzata a terra, piangendo di gratitudine verso Dio. Era stata la protezione di Dio a consentirmi di resistere; altrimenti, nelle mie condizioni fisiche, sarei morta già da tempo. Poi gli altri agenti se ne sono andati, tranne quello del “martello”, che mi ha guardata e ha detto: “Zietta, non avevo mai picchiato una donna. Tu sei la prima, e nessuno di quegli uomini grandi e grossi è riuscito a resistere a 30 dei miei pugni. Lo sai quante volte ti ho colpita? Più di 30 volte ormai. Non avrei mai immaginato che una signora della tua età fosse capace di sopportarli, e tu non hai detto una parola di quello che vogliamo sapere. Io sono nella polizia giudiziaria da un decennio e non ho mai visto un interrogatorio come il tuo”. A queste parole, ho reso grazie a Dio. Il fatto che non fossi morta per le percosse era interamente dovuto alla Sua protezione.

Dopo le 19, quella sera, mi hanno riportata al centro di detenzione e mi hanno avvertita: “Quando torni lì, non devi dire assolutamente a nessuno che ti abbiamo picchiata. Altrimenti la prossima volta che ti interroghiamo sarà ancora peggio”. Parlando, hanno raccolto un asciugamano e mi hanno tolto la polvere dai pantaloni, mi hanno rassettato gli abiti e i capelli e poi con l’asciugamano umido mi hanno ripulito il viso. Dopo avermi ricondotta in cella, hanno mentito alle guardie, dicendo che non mi sentivo bene perché mi si era riacutizzata una cardiopatia. Ero furiosa. Erano davvero spregevoli e non conoscevano vergogna! Tornata in cella, mi sono coricata sulla brandina, incapace di muovermi. Avevo il cuoio capelluto tanto sensibile che non osavo toccarlo e con l’orecchio sinistro non sentivo niente. Avevo la bocca troppo gonfia per aprirla ed ero piena di lividi sulle guance. Avevo escoriazioni su tutto il corpo e sulle gambe, e sul petto si vedevano chiarissimi i segni viola dei pugni. Avevo la spalla sinistra slogata, perciò dovevo sostenerla con la mano destra. Un esame successivo ha riscontrato che avevo nel torace varie ossa rotte e anche delle vertebre disallineate. Avevo paura a distendermi e specialmente a tirarmi su a sedere; un respiro forte mi dava l’impressione di venire pugnalata con schegge di vetro nel cuore e nella cavità toracica. Espirare molto lentamente mi alleviava un po’ il dolore. Quando il medico del carcere mi ha vista in quelle condizioni, ha detto alle detenute di guardia la notte di controllarmi il naso ogni due ore, per assicurarsi che respirassi ancora. Quando le guardie carcerarie arrivavano al lavoro la mattina, per prima cosa domandavano se fossi morta o no. Non ho né mangiato né bevuto per due giorni di fila e tutte nella cella pensavano che non avessi possibilità di sopravvivere. Ho sentito due detenute addette alla sorveglianza notturna commentare a bassa voce. Una di loro ha sussurrato: “Non la curano e non avvertono nemmeno la famiglia. Penso che stia solo aspettando di morire”. L’altra ha risposto: “La guardia ha detto che assassini, piromani e prostitute possono tutti comprarsi il rilascio, solo i credenti in Dio Onnipotente non possono uscire. Le restano ormai pochi giorni di vita”. Era terribile sentirle parlare così. “Davvero morirò qui in questo modo? Ancora non ho visto il giorno della gloria di Dio. Se morissi in questo posto, i miei fratelli e sorelle non lo verrebbero a sapere, e neanche mia figlia”. Pensare a mia figlia mi ha colmata di tristezza e non sono riuscita a trattenere le lacrime. Lì, sulla soglia della morte, non avevo al mio fianco né familiari né fratelli o sorelle. Più ci pensavo e più era doloroso, e non potevo fare altro che invocare Dio. Poi, ho sentito una delle due detenute dire: “E se davvero muore qui dentro?” Al che l’altra ha risposto: “Avvolgila nella coperta più sporca e logora che trovi, e poi gettala in una fossa e seppelliscila”. Sentire questo mi ha davvero fiaccato lo spirito. Ero ormai al limite fisico della sopportazione e, per di più, questa estrema sofferenza emotiva e questa disperazione acuivano il dolore cardiaco: mi sembrava preferibile la morte. Non sapevo che cosa dire a Dio, perciò Lo ho solamente invocato con urgenza: “Dio, salvami! Ti prego di aiutarmi! Dammi fede e coraggio per superare questa situazione. O Dio, non so che cosa succederà, ma so che la mia vita e la mia morte sono nelle Tue mani”. In quel momento, mi è venuto in mente un passo dalle parole di Dio: “Negli ultimi giorni dovete rendere testimonianza a Dio. Per quanto sia grande la vostra sofferenza, dovreste camminare fino alla fine, e anche al vostro ultimo respiro, dovete ancora essere fedeli a Dio e alla Sua mercé; solo questo è vero amore per Lui e una testimonianza forte e clamorosa(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Solamente affrontando prove dolorose puoi conoscere l’amabilità di Dio”). Mi sono sentita davvero incoraggiata e mi è sembrato che Dio in Persona fosse al mio fianco, a consolarmi e a spronarmi. Ho anche pensato a tutti quei santi nel corso dei secoli che per diffondere il Vangelo subirono il martirio, e anche oggi tanti fratelli e sorelle hanno dato la vita per diffondere il Vangelo del Regno di Dio. La loro morte ha significato e valore, e loro vengono commemorati da Dio. Io ero stata arrestata perché credevo in Dio e avevo compiuto il mio dovere. Anche se fossi morta a causa della persecuzione, sarebbe stato in nome della giustizia e avrebbe costituito un atto glorioso. Che io vivessi o morissi quel giorno, avrei testimoniato Dio e, anche se fossi veramente morta, la mia vita non sarebbe stata vana. Questo pensiero mi molto calmata e non mi sentivo più tanto disperata e inerme. Ho recitato un’altra preghiera: “Dio, incombe su di me lo spettro della morte. Se davvero verrà, sono pronta a sottomettermi alle Tue disposizioni. Se invece sopravviverò, continuerò a compiere il mio dovere di creatura per soddisfarTi. Mi consegnerò interamente a Te e sarò devota sino alla fine”. Dopo questa preghiera, mi sono sentita in pace. Non mi sentivo più oppressa da pensieri di morte e anche il dolore fisico si è alleviato. In tal modo ho superato un giorno, poi un secondo, poi un terzo… Ed ero ancora viva! Sapevo nelle ossa che tutto questo era dovuto alla grazia e alla protezione di Dio.

Tre giorni dopo, sono venuti a prendermi quelli della Brigata di Sicurezza Nazionale per un ulteriore interrogatorio. Ho sentito la guardia urlare il mio nome prima ancora che si aprisse la porta della cella. In quel momento le mie condizioni erano pessime e le altre detenute, non appena hanno saputo, si sono messe a protestare, alzandosi in piedi e urlando tutte insieme, dicendo cose come: “È in questo stato e volete interrogarla ancora? Siete proprio delle belve. Portarla dentro per l’interrogatorio quando è stata picchiata e ridotta in questo stato?” Lì dentro c’erano una sessantina di persone, e più di metà protestavano per me, infuriate. L’intera cella era nel caos. Di fronte a questa situazione, i poliziotti hanno deciso di non interrogarmi. Io ero commossa fino alle lacrime, profondamente grata a Dio per la Sua protezione. Poi, perfino la detenuta capo ha detto: “Sono qui da due anni e non ho mai visto niente del genere”. Sapevo che Dio operava dietro le quinte per proteggermi, disponendo persone, eventi e cose per aiutarmi e consentirmi di scansare quel colpo. Gli ho reso grazie!

Per un certo tempo, sono stata talmente tormentata dai dolori in tutto il corpo che di notte non riuscivo a dormire, perciò riflettevo sulle parole di Dio. Una volta, ho pensato a un inno intitolato “L’amore di Pietro per Dio”, che parla di Pietro che pregava Dio quando era al massimo della debolezza: “O Dio! Indipendentemente dal tempo o dal luogo, Tu sai che mi ricordo sempre di Te. Non importa il tempo o il luogo, Tu sai che io voglio amarTi, ma la mia statura morale è troppo bassa, io sono troppo debole e impotente, il mio amore è troppo limitato e la mia sincerità verso di Te è troppo misera. In confronto al Tuo amore, io sono semplicemente inadatto a vivere. Vorrei solo che la mia vita non fosse vana e che io possa non solo ricambiare il Tuo amore ma, oltre a ciò, possa dedicare a Te tutto quello che ho. Se Ti posso soddisfare, allora, in quanto creatura, avrò la pace della mente e non chiederò altro. Anche se ora sono debole e impotente, non dimenticherò le Tue esortazioni e non dimenticherò il Tuo amore(La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Le esperienze di Pietro: la sua conoscenza del castigo e del giudizio”). Quell’inno mi ha davvero commossa. In tutta quell’esperienza di tortura spietata, ogni volta che, sentendomi fragile e in pena, ho pregato e mi sono affidata a Dio, Egli mi ha illuminata e guidata con le Sue parole e mi ha dischiuso una via d’uscita. Dio è rimasto al mio fianco, a vigilare su di me e a proteggermi. L’esperienza di quel tipo di ambiente mi ha mostrato l’onnipotenza e l’autorità di Dio, e allora la mia fede in Lui è cresciuta. Inoltre, ho visto veramente l’essenza demoniaca del gran dragone rosso, che si oppone a Dio e distrugge le persone; l’ho ripudiato e abbandonato nel profondo, e ho rivolto il mio cuore a Dio. Egli mi ha salvata dalle forze di Satana in modi estremamente concreti. Colma di gratitudine per Dio, ho detto in preghiera che, viva o morta, ero pronta a donarGli l’intera mia vita e ad accettare qualsiasi cosa da Lui disposta. Anche se per questo fossi morta, avrei seguito Dio sino alla fine! Da quel momento in poi, ho sentito nel cuore che avrei potuto rinunciare a tutto, ma non potevo separarmi da Dio. Riflettendo sulle Sue parole, sentivo il mio cuore avvicinarsi a Lui. Grazie all’aiuto e alla protezione di Dio, il gonfiore attorno alle mie lesioni si è attenuato molto rapidamente, il cuore non mi doleva più tanto quando respiravo, e dopo una settimana ero in grado di camminare appoggiandomi al muro. Tutti nel carcere erano sbalorditi e dicevano: “Guardatela, deve proprio credere nel vero Dio!” Sapevo che tutto era dovuto alla grande potenza di Dio, e che Egli mi aveva ricondotta indietro dalla soglia della morte e mi aveva donato una seconda vita. Ho reso grazie a Dio dal profondo del cuore per la Sua salvezza!

Dopo quattro mesi di reclusione nel centro di detenzione, il Partito Comunista mi ha condannata a un anno di rieducazione mediante il lavoro per turbamento dell’ordine sociale. Quando sono stata rilasciata, i poliziotti mi hanno avvertita: “Se vieni di nuovo arrestata per attività religiose, riceverai una condanna pesante”. Ma non mi sono lasciata frenare. Nel cuore ho pregato Dio: “A prescindere da quanta repressione e sofferenza affronterò in futuro, Ti seguirò per sempre!”

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